Corriere della Sera

C’è troppa differenza Scuse e alibi per tutti

- Di Mario Sconcerti

Non c’è stata partita a San Siro come ormai non c’è più partita da oltre sette anni con nessuno. Si comincia a pensare che la Juve sia la buona scusa di quasi tutte le squadre per non investire, per guadagnare restando alle sue spalle. C’è troppa differenza, perché allora spendere molto? Si gioca e si fanno le squadre non per partecipar­e al campionato comune ma per sopravvive­re a pezzi di campionato in cui sono coinvolte quattro-cinque squadre per volta. La Juventus, il Napoli, la Roma, non sono nemmeno contemplat­e come avversarie. Ognuno ha il suo piccolo condominio da difendere, l’europa League come inganno universale, chiunque può dire di poterci arrivare; la retrocessi­one; una classifica tranquilla che valorizza giocatori così così. Tanto è la Juve che spinge quanto basta per incassare i soldi delle television­i. È il problema di fondo che si capovolge: abbiamo sempre pensato che il campionato fosse poco guardabile, non allenante, per la forza eccessiva della Juve. Non è più così. L’abitudine alla forza della Juve ha permesso agli altri di abbassare la propria qualità incassando gli stessi soldi, cioè aumentando i profitti. È questa fuga dalla qualità che sta mandando la Juve fuori dal campionato, a farla correre nella Superlega. «Perché in serie A il prodotto sta vivendo uno dei suoi momenti più bassi» (Andrea Agnelli, intervista al Guardian nel maggio scorso). In poche parole siamo tutti aggrappati e pagati per uno spettacolo che danno solo pochissime squadre, forse solo Juve e Napoli. Arriverann­o Inter e Milan, forse Roma, ma da dieci anni il risultato è questo, lo stesso di San Siro ieri notte. Una differenza plateale, incompatib­ile con i nomi e gli incassi, non accettabil­e. Ne è una conferma l’inter di Bergamo, alla terza sconfitta in 12 partite, divorata dalla corsa dell’atalanta, demoralizz­ata e stanca per la lezione di calcio del Barcellona. Siamo tutti noi abituati ormai a un’altra cifra di calcio, scambiamo i numeri due per campioni, giochiamo a essere Guardiola perché teniamo il pallone, solo che lui sapeva dove portarlo. Noi torniamo sempre indietro.

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