Bonolis, inutile chiedersi se gli «scherzi» siano veri o fake
Quando Fatma Ruffini si è inventata il meccanismo di Scherzi a parte, l’idea di cogliere i vip in un momento di fragilità, facendo leva sul sottile sadismo dello spettatore, sembrava qualcosa di molto innovativo. Correva l’anno 1992. Oggi d’innovativo è rimasto ben poco e il ritorno del programma in prima serata su Canale 5 con Paolo Bonolis ha il senso delle sempre più frequenti operazioni nostalgia, grandi e sicuri ritorni per sopperire ai rischi che comportano le idee nuove, soprattutto quando non sono buone idee (venerdì, 21.25). Sul meccanismo del programma c’è ben poco da dire: inutile chiedersi se gli scherzi siano veri o fake, l’autenticità in questo caso non è la cosa più importante perché quello che conta è la «scrittura» dello scherzo, se funziona o meno in termini drammaturgici e narrativi. Quando si trova un possibile e credibile punto debole delle vittime (in questo caso molti nomi amici della scuderia Mediaset), il gioco è fatto. Curioso scoprire che la cosa cui tiene di più Barbara D’urso è la sua villa a Capalbio, ex roccaforte della sinistra Vanity Fair.
Gli scherzi, soprattutto quando riusciti, sono il vero fulcro del programma, molto più del contenitore costruito in studio per fare da glossa o da glassa. È senza dubbio la parte più debole della serata. La riprova è che gli scherzi funzionavano perfettamente anche quando inseriti all’interno de Le iene. Paolo Bonolis è da tempo in cerca di una sua nuova identità televisiva, un programma da prima serata all’altezza delle sue ambizioni. Scherzi a parte non sembra essere esattamente il suo, soprattutto nei monologhi tipo stand up comedy americana, che si barcamenano stancamente tra satira mal riuscita e moralismo. Bonolis è «bravo» quando ha l’occasione di dialogare con il mostruoso alla Ciao Darwin quando può giocare con il popolare e il «basso» contrapponendogli l’affettazione colta, vera o fake.