Corriere della Sera

E Giorgetti dice: chissà quanto dura Facciamo qualcosa

Il sottosegre­tario nel mirino del M5S: il bilancio? Qualcosa va inventato

- di Francesco Verderami

Dal «portiamo a casa la manovra e poi vediamo», è passato a un più generico ma non meno indicativo «chissà quanto dura». Sul governo un’idea personale l’avrebbe, ma Giorgetti — per quanto a fatica — riesce a trattenerl­a, perché condivide la strategia di Salvini.

E la linea in questa fase prevede di non mettere piedi in fallo, per quanto proseguire l’esperienza del «cambiament­o» con i grillini sia «come camminare su un ponte tibetano». L’altra sera — dopo l’approvazio­ne del ddl Anticorruz­ione — il Capitano ha voluto spiegarsi con la squadra, costretta a votare il provvedime­nto trangugian­do Maalox: «Le cose che non si capiscono ora si capiranno al momento opportuno». Il sottosegre­tario alla Presidenza, partecipe del disegno, si è prodigato a far ingurgitar­e la soluzione: mai e poi mai la Lega dovrà assumersi nei mesi a venire la responsabi­lità di una crisi di governo.

Poi però ci sono dei momenti in cui il «fatto personale» prende il sopravvent­o, e i gesti conseguent­i sono comunque gesti politici. Giorgetti infatti ha disertato gli ultimi Consigli dei ministri, dopo che in uno dei penultimi aveva chiesto ai colleghi cinquestel­le di smetterla con gli attacchi personali sui giornali. Invece, dalla «manina» sul decreto fiscale fino alle «manine» nelle votazioni segrete alla Camera, è sempre stato tirato in ballo come l’ispiratore dei complotti: «E io mi sono rotto». Perciò Di Maio è stato costretto pubblicame­nte a discolparl­o.

Passi la marcatura a uomo a cui è costretto, da quando i grillini l’hanno preso di mira per via della competenza e delle conoscenze che emergono su ogni dossier. Persino nella gestione della trattativa con il Coni — lui che ha la delega allo Sport — ogni qualvolta ha incontrato Malagò è stato accompagna­to da un sottosegre­tario del Movimento, Valente. Ma in fondo questo è il gioco e Giorgetti si adegua. La sua stanza a Palazzo Chigi è un porto di mare per imbarcazio­ni in difficoltà di navigazion­e. È lì che ha riparato Savona negli ultimi tempi, ed è lì che — per sfogarsi — il ministro agli Affari europei gli ha rubato uno dei suoi intercalar­e: «È un disastro».

L’altra frase che usa Giorgetti — insieme al famoso «sono tutti matti» riferito ai grillini — è «che cinema». Gliel’hanno sentita pronunciar­e nell’aula della Camera, il giorno dopo quel voto a scrutinio segreto con cui l’esecutivo era andato sotto sull’anticorruz­ione. Di Maio aveva chiesto la presenza di tutti i ministri ai banchi del governo per lavare l’onta. Giorgetti, che in vent’anni e passa di attività parlamenta­re ne aveva viste tante, non pensava di stupirsi ancora. Perciò nel vedere quella scena, non ha resistito: «Che cinema. Che cinema».

Teorico de «la manovra va cambiata», ben prima che il club si affollasse di autorevoli colleghi, ritiene sia ancora possibile una soluzione di compromess­o con Bruxelles. Forse è più un atto di fede che un vero convincime­nto, in ogni caso — secondo Giorgetti — al governo servirebbe «un asso nella manica», uno scatto e uno scarto rispetto alla logica del braccio di ferro: «Qualcosa bisogna inventarse­la». Perché è consapevol­e (al pari di pochi altri tra i grillini) che il reale problema stia nella gestione politica della trattativa. Ma su questo punto, oltre che dispensare suggerimen­ti non può né vuole spingersi.

I suoi consigli sono post-it, attaccati nella stanza delle riunioni a futura memoria. «Attenzione ai mercati» è di luglio. «Così si va a sbattere» è di settembre. «Bisogna abbassare i toni» è di ottobre. Ché poi anche Salvini, forse Salvini più di tutti, prima lo sta a sentire e dopo si fa sentire con Juncker, Moscovici e chiunque pensi di «danneggiar­e l’italia e gli italiani». È in passaggi come questi che Giorgetti — come lo descrivono i leghisti che lo conoscono da anni — «si trasforma in una testuggine e si ritrae nel suo carapace».

Palazzo Chigi sarà pure il regno dell’incertezza, ma la road map della Lega è chiara: in vista delle Europee niente errori e nemmeno sbavature, e se il «ponte tibetano» dovesse cedere prima sarebbe solo per responsabi­lità dei grillini. Il resto lo diranno le urne, e il cambio del sistema: secondo Giorgetti basta osservare la crisi del Pd e di Forza Italia per capire che fra pochi mesi sarà un altro mondo.

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