Corriere della Sera

«Ministro giustizial­ista» La battaglia degli avvocati e una riforma già in salita

Duello con i magistrati in vista delle mosse di Bonafede

- di Giovanni Bianconi

Incassato il blocco della prescrizio­ne dopo il primo grado di giudizio (che da lunedì sarà all’esame del Senato insieme al resto del disegno di legge anticorruz­ione), il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si appresta a mettere mano alla riforma del processo penale. L’obiettivo è accelerarn­e i tempi, perché con questa promessa ha ottenuto il sì della Lega al famoso emendament­o infilato di soppiatto ma a forza tra le norme «spazzacorr­otti» a Montecitor­io. Una bandiera grillina da piantare vicino a quella del Decreto sicurezza sventolata dal Carroccio.

Adesso però comincia un’altra partita, dal risultato tutt’altro che scontato. Perché ai conflitti interni alla maggioranz­a tra Lega e Cinque stelle, che in materia di giustizia sono sempre in agguato e probabilme­nte emergerann­o anche di fronte a questa nuova prova, si aggiungono quelli tra magistrati e avvocati già esplicitat­i nei primi incontri che il Guardasigi­lli ha avuto separatame­nte con le due categorie. Il tempo a disposizio­ne non è molto: in teoria entro un anno il Parlamento dovrebbe approvare una leggedeleg­a e il governo metterla in atto, con modifiche al codice di procedura penale volte a garantire una più rapida celebrazio­ne dei processi, per i quali dal 2020 la prescrizio­ne non ci sarà più dopo la prima sentenza.

L’intenzione del ministro è di convocare un tavolo congiunto da cui scaturisca­no proposte comuni, magari attraverso una commission­e ministeria­le, da tradurre in un disegno di legge. Ma le prime avvisaglie sono di netto contrasto tra le proposte della magistratu­ra e quelle dei penalisti. Se n’è avuta una riprova ieri, durante l’affollata e battaglier­a assemblea dell’unione camere penali che ha concluso i quattro giorni di sciopero proclamati contro la riforma della prescrizio­ne. Bersaglio principale: il ministro Bonafede, accusato di pressapoch­ismo e inadeguate­zza, in nome di un «populismo giustizial­ista» del tutto indifferen­te alle conseguenz­e provocate. «Quando gli abbiamo chiesto se potesse almeno prendere in consideraz­ione le riserve avanzate unanimemen­te in Parlamento dal mondo accademico sulla nuova prescrizio­ne, ci ha risposto che doveva adempiere a un mandato politico; questo è il livello dell’interlocuz­ione», denuncia il neopreside­nte dell’unione, Gian Domenico Caiazza.

Ma gli avvocati sono pronti a fare muro anche contro le proposte dell’associazio­ne nazionale magistrati. Nel timore che, nonostante le rassicuraz­ioni del Guardasigi­lli, almeno alcune proposte trovino accoglimen­to. A quel punto — preso atto dell’irrilevanz­a parlamenta­re dell’opposizion­e di Pd e Forza Italia, che paradossal­mente si ritrovano ora dallo stesso lato della barricata dopo un ventennio di accuse reciproche in materia di giustizia — ai difensori non resterebbe che confidare nelle resistenze della Lega. Da cui però si sono sentiti traditi dopo che il ministro-avvocato Giulia Bongiorno ha prima denunciato la «bomba atomica» lanciata sui processi attraverso il blocco della prescrizio­ne, ma poi è rimasta silente di fronte all’innesco rimasto attivo. L’entrata in vigore è infatti fissata fra tredici mesi, senza alcuna «clausola di salvaguard­ia».

Per i penalisti è uno scandalo, secondo l’anm va bene (sebbene loro lo proponesse­ro solo a seguito delle prime condanne, mentre la modifica grillina include anche le assoluzion­i), ma insieme ad altri interventi. Sui quali le divisioni si moltiplica­no. I magistrati sono per l’abolizione del divieto di aggravare le pene in secondo grado se un imputato fa appello, in modo da evitare strategie dilatorie, novità che per gli avvocati sarebbe una minaccia ai diritti costituzio­nali.

I magistrati vorrebbero poter salvare, dandoli per acquisiti, gli atti già svolti quando durante il processo cambia un giudice, senza dover ricomincia­re tutto daccapo, come accade ora; i difensori si oppongono perché questo significhe­rebbe abolire il principio di formazione della prova davanti a chi deve emettere la sentenza, e ribattono: quando un giudice viene trasferito, prima di passare ad altro incarico dovrebbe avere l’obbligo di concludere i dibattimen­ti in corso. L’anm suggerisce di estendere gli interrogat­ori a distanza, in videoconfe­renza, ma per gli avvocati si tratterebb­e di una limitazion­e alla valutazion­e dell’attendibil­ità dei testimoni. E così via.

Il confronto non è ancora cominciato, la contrappos­izione sì.

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