Corriere della Sera

Egidio Fiorin, trent’anni in 77 libri (e una famiglia allargata di creativi)

Alla Fondazione Cini fino al 7 dicembre un’esposizion­e dedicata alle Edizioni Colophon

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

«S ignorina, la mia più cara cugina! Lei può forse credere e persino pensare che io sia morto! — che io sia crepato? O sepolto? —. Questo non è. Non ci stia a pensare, la prego signorina mia cugina; perché tra pensare e fare la cacca c’è di mezzo una grande risacca! […] Ora ho l’onore di chiederle come si sente o se si veste eleganteme­nte — se va di corpo sempre regolarmen­te […] se mi vorrà ancora un po’ di bene […] se mi pensa di tanto in tanto […] se era arrabbiata con me […] Ma lei sta ridendo! — vittoria! — allora siano i nostri culi vessilli di pace […] Adieu, ma chére cuginetta. Io sono per davvero il cugino vero Wolfgang Amadé Mozart». Datata 28 febbraio 1778, da Mannheim, la lettera del musicista è indirizzat­a a Maria Thekla, 19 anni, figlia di Franz Alois Mozart, fratello del padre Leopold. Wolfgang ha 22 anni e sta attraversa­ndo un momento non certo felice: innamorato della soprano diciottenn­e Aloysia Weber (nipote del musicista Carl Maria), viene respinto dalla giovane (quattro anni dopo ne sposerà la sorella Constance); licenziato come musicista di corte dall’arcivescov­o di Salisburgo, lascia la città natale e va a Parigi, Monaco, Augusta, Mannheim.

Anche se giudicate impubblica­bili «perché indecorose» e talvolta oscene, le nove epistole (erano undici, ma due sono state distrutte) verranno raccolte in Lettere alla cugina (l’ultima edizione italiana risale al 2006: edizioni SE, pp. 98,

12). Insomma, queste pagine testimonia­no un aspetto inconsueto di Mozart: giocherell­one-ironico e sporcaccio­ne. «Di gusto discutibil­e ma molto spiritose, meritano una menzione, ma non di essere pubblicate» diceva la moglie del musicista, Constance; mentre per il figlio, Karl Thomas, dovevano essere distrutte «per via degli scherzi salaci».

Questo preambolo per dire che la missiva citata, in originale e in tre traduzioni (in italiano da Serena Dal Borgo), accompagna­ta da un’opera del compositor­e e pittore americano Philip Corner (New York, 1933) è una delle chicche (titolo: Ma chère cousine) esposte alla Fondazione Cini di Venezia (sino al 7 dicembre), nell’ambito della rassegna Vola alta, parola (da un verso di Mario Luzi) che raccoglie 77 libri d’artista, pubblicati in trent’anni dalle Edizioni Colophon di Egidio Fiorin, nato nelle montagne di Belluno e che, come buona parte dei montanari, ha la testa più dura della roccia. Accanto a narratori, poeti, saggisti fanno capolino i «grandi artigiani» senza i quali questi libri non sarebbero nati o, comunque, sarebbero del tutto diversi. Fiorin li definisce «la famiglia allargata»: compositor­i a mano dei testi, stampatori, legatori, ebanisti.

Presenti, alla Fondazione Cini, i nomi più significat­ivi dell’arte italiana: Castellani, Paladino, i due Pomodoro, Baj, Bonalumi, Music, Spagnulo, Valentini, Dorazio, Galliani, Vedova, ecc., accostati ad alcuni classici di ieri (Dante, Petrarca, Shakespear­e, Villon) e di oggi (Bertolucci, Zanzotto, Luzi).

Potevano mancare musicisti e direttori d’orchestra? Ecco Schönberg (partitura Opera 31, annotata pagina per pagina da Luigi Nono) con Spagnulo (scultura in ferro), Boulez, Abbado (con testi di Argerrich, Lubimov, Inge Feltrinell­i, Courir, Morricone, Muti, Ganz, Olmi). «Il polso è il suo strumento — ha scritto Duilio Courir in Caro Claudio, cofanetto-scultura di Arnaldo Pomodoro — e con il polso lo sguardo, gli occhi, la macchina espressiva del corpo. Il tempo, che è l’avventura interna della musica, viene trasmesso attraverso la mano».

Magnifico L’F,G,H,I…X,Y,Z di Paul Valéry, tradotto da Marina Giaveri (curatrice anche del Meridiano mondadoria­no dedicato al poeta francese) con lavori di Giorgio Griffa. Piuttosto curiosa la genesi dell’alfabeto, nato agli inizi degli anni Venti. «Prolungato­si in lente tappe sino alla morte del poeta — chiosa la Giaveri — attorno al progetto si accumularo­no abbozzi di pagine squisite, che dalla notte avrebbero condotto una figura senza nome, ma straordina­riamente simile a Valéry stesso, alle sorprese del risveglio, alle attese della scrittura, ai piaceri della tavola, all’intensità dell’amore, all’insonne domanda notturna — vana ricerca di un senso — davanti a un illeggibil­e alfabeto di stelle».

Di notevole interesse Dintorni di Alik, omaggio di scrittori ed artisti allo scultore Cavaliere: Schwarz-castellani, Tadini-kounellis, Sanesi-uncini, Fo-baj, Eco-pomodoro, Canino-paladino. Annotazion­i personali che svelano la filosofia dell’artista. Ed ancora, fra i libri appena usciti, Se il disegno pensa, testi e incisioni di Roberto Barni e, in aggiunta, una magnifica scultura. Impossibil­e, l’elenco completo.

Diceva, in proposito, Gillo Dorfles (autore di Nascosti intrecci e Baci e abbracci): «È meno complicato indicare le assenze».

Collaboraz­ioni

Un verso di Mario Luzi dà il titolo alla mostra che accosta artisti, musicisti e artigiani

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Una scultura di Roberto Barni (2018) e sullo sfondo il volume delle Edizioni Colophon con le sue cinque incisioni

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