Parleremo con il frigorifero e altre cronache dalla realtà
L’internet delle cose apre scenari non perfetti, ma preziosi
Le fabbriche, certo, rimarranno fabbriche. Come le automobili continueranno a trasportare chi si deve spostare. E le abitazioni a offrire la propria accoglienza alle persone. A cambiare sarà — in molti casi lo è già — la maniera in cui le fabbriche, le automobili e le case si interfacceranno con noi.
Perché la digital transformation (tema al centro del summit milanese di ieri) è innanzitutto un cambiamento culturale, di modus, di approccio alle cose. Partiamo dal mondo del lavoro. Grazie alla rete stiamo interconnettendo le macchine: torni a controllo numerico, presse, centri di taglio, transfer oggi possono dialogare fra loro grazie a protocolli alfanumerici incomprensibili al 99% della popolazione eppure ricchi di significato, e perciò di valore.
Lo chiamiamo Internet delle cose, ma è molto di più. È un nuovo modo di costruire i manufatti. Pensate alle possibilità che la rete (e l’internet of thing che ci naviga dentro) apre a una piccola impresa produttrice di macchine utensili. Fino a tre, quattro anni fa non si poteva permettere di vendere i propri prodotti in troppi luoghi del mondo simultaneamente. Impossibile, quando hai solo qualche tecnico a disposizione, spedire risorse preziose in Argentina, Australia, Cina e Stati Uniti. Oggi si può, grazie alla rete. Perché a montare e a manutenere costantemente i macchinari ci possono pensare operai locali guidati, attraverso la realtà aumentata, dai tecnici che quei macchinari, magari in una sperduta frazione montana (ce ne sono molte di aziende del genere a nord della A4), li hanno progettati e costruiti.
E poi le automobili. Che non significa solamente guida autonoma (per quella dovremo aspettare ancora qualche anno) ma anzitutto mobilità intelligente, e quindi smart city. La rivoluzione in città è infatti alle porte. In queste settimane, da Milano a Torino, da Siena a Bari fino a Catania, si stanno sviluppando le potenzialità della nuova rete 5G. Che non è solo più ampia, capiente e veloce degli
La rete nutre l’iot di dati. Bit molto preziosi che raccontano di noi, delle nostre abitudini, dei nostri gusti e dei nostri segreti. Bisognerà proteggerli: valgono più dell’oro
standard che oggi ci portiamo in tasca. È soprattutto più stabile e reattiva (meno latente, si dice). E questo significa che sarà in grado di portare l’iot per la strada: semafori che temporizzano in maniera flessibile, lampioni che diffondono l’illuminazione a seconda della densità della popolazione presente in quel momento nel quartiere. E ancora: droni per la videosorveglianza e raccolta dei rifiuti iperdifferenziata. Una città connessa e, dunque più vivibile, anche nei rapporti con una Pubblica amministrazione più reattiva e vicina al cittadino grazie al Sistema pubblico di identità digitale — il cosiddetto Spid.
Infine la casa. Dove la rete sta trasformando la vecchia domotica — ricordate le tapparelle elettriche? — nel luogo d’elezione dell’intelligenza artificiale. Parleremo con il lavastoviglie? Forse non ce ne sarà nemmeno bisogno, poiché sarà il frigo a capire quando è ora di fare la spesa. E sarà lui a ordinare al supermercato il latte, la frutta e gli ingredienti per la grigliata del sabato sera con gli amici.
Un mondo perfetto? Non proprio. Perché la rete nutre l’internet delle cose di dati. Preziosissimi bit che raccontano di noi, delle nostre abitudini, dei nostri gusti e dei nostri segreti. Bisognerà proteggerli, perché valgono più dell’oro (l’affaire Cambridge Analytica lo ha reso palese). Una sfida anzitutto d’intelligenza (non artificiale, stavolta) per utilizzare il meglio dell’iot senza cadere nella paranoia o, peggio, nel luddismo.