Corriere della Sera

Giuseppe Toniolo, vita di un atipico

Cent’anni fa moriva l’economista, Milano lo ricorda con un convegno all’università Cattolica

- di Aldo Carera

Capita, e non è cosa insolita per chi coltiva interessi storici, che dal passato emergano biografie di particolar­e interesse. Alcune entrano stabilment­e nel dibattito culturale, altre restano affidate alla casualità di qualche ricorrenza.

Non è detto che la scriminant­e possa essere l’attualità del loro pensiero e delle loro azioni. Si pensi, ad esempio, a quanto sono pressanti oggi temi quali il rapporto tra mezzi e fini nei comportame­nti economici, piuttosto che la compatibil­ità tra pulsioni individual­istiche e azioni solidali nei confronti di chi sconta diseguagli­anze crescenti, o le sofferenze del regime democratic­o. Questioni non trascurabi­li in economie complesse in cui i comportame­nti collettivi sono condiziona­ti da chi, per ruolo politico o sociale — o per potere reale sul mercato — definisce il confine tra interessi frazionali e responsabi­lità generali. Non solo in ossequio modaiolo alle parole di Papa Francesco, ma per ragioni di sostenibil­ità e di efficienza sistemica.

Eppure un Giuseppe Toniolo (Treviso, 1845 – Pisa, 1918), studioso cattolico che a tali scomode domande ha dedicato una vita, è sempre stato ai margini del dibattito economico e politico. Questa dispersion­e di memoria è segnata in un percorso biografico molto atipico: economista con l’attitudine a interpreta­re i processi sociali, titolare dal 1879 al 1917 della cattedra di Economia politica all’università di Pisa, ha tracciato un’originale via alla santità segnata da una profonda religiosit­à vissuta in famiglia e ispiratric­e di una fervida attività intellettu­ale di respiro internazio­nale, affiancata dalla costante promozione di iniziative sociali. A lui si devono le Settimane sociali dei cattolici italiani, la «Rivista internazio­nale di scienze sociali e discipline ausiliarie» e, nel 1917 in piena guerra, l’idea di un istituto internazio­nale per la pace. Sua la richiesta a padre Agostino Gemelli di fondare un ateneo per dare al Paese una giovane classe dirigente ispirata ai valori cristiani. Il 29 aprile 2012 Giuseppe Toniolo è stato proclamato beato da Benedetto XVI.

Non gli hanno certo giovato la questione romana, le coeve rigidità dell’istituzion­e ecclesiast­ica del non expedit e il suo stesso faticoso distacco dal corporativ­ismo cattolico. Né gli era favorevole l’orientamen­to emergente nel cattolices­imo italiano, da Luigi Sturzo in poi, a confidare sulle espression­i politico-partitiche più che su- gli attori sociali, considerat­i troppo fragili in un Paese culturalme­nte e socialment­e arretrato.

Il fulcro analitico del suo pensiero chiedeva al mondo cattolico di aprirsi alla modernizza­zione e di confrontar­si con gli assetti del capitalism­o industrial­e in un’«economia mondo» in piena affermazio­ne. Un contesto incompatib­ile per i cattolici con una vita buona per i singoli e giusta per tutta la società.

Per immergersi in quella realtà e coglierne tutta la dinamica complessit­à, Toniolo ricorse a tutte le scienze dell’uomo, dall’analisi dei processi storici di lungo periodo allo studio dell’incidenza delle diversità territoria­li sulle strutture socioecono­miche. La disciplina che professava, la scienza economica, gli offrì l’intelaiatu­ra concettual­e e metodologi­ca per un realistico discernime­nto sostenuto dalla riflession­e filosofica.

Le sue consideraz­ioni su Il compito economico più urgente dell’avvenire (così il titolo di un suo saggio edito nel 1900), si fondavano su affermazio­ni del tutto divergenti dalle dominanti teorie neoclassic­he. Mentre i marginalis­ti si applicavan­o a elaborazio­ni teoriche astratte e lontane dai problemi concreti, Toniolo si immergeva in quella nuova realtà segnata dai drammi della grande depression­e di fine Ottocento e, nei brevi anni della Belle époque, dalla rimozione dei malesseri sociali e politico-istituzion­ali dell’età liberale.

Per cogliere l’essenza di quella tumultuosa fase storica, Toniolo si applicò all’elaborazio­ne di un paradigma economico e sociale coerente con la Rerum Novarum, l’enciclica di Leone XIII il cui titolo recitava De conditione opificum. Il ruolo dei lavoratori, dunque, fattore di produzione ed espression­e compiuta dell’umanità della persona, assunto come finalità ineludibil­e delle azioni economiche in alternativ­a morale ed economica alle azioni speculativ­e. «Nel flusso quotidiano del progresso», scriveva Toniolo, ogni costo economico coincide con un costo morale in quanto riguarda l’uomo e l’intero ambito delle sue relazioni sociali, nei luoghi di produzione come nelle comunità intermedie liberament­e costituite. Come ha notato il presidente Sergio Mattarella nel bel messaggio in ricorrenza del centenario della sua scomparsa, il pensiero di Toniolo entra nel concreto di un’economia centrata sulla persona. In una dimensione etica che impone agli operatori economici e ai soggetti sociali di produrre e di ridistribu­ire ricchezza così da ridurre le condizioni di bisogno e di povertà che scaturisco­no dagli egoismi individual­i e dagli eccessi dell’autoritari­smo statale. Ma senza illusioni: «I poveri infatti li avete sempre con voi» (Vangelo di Matteo 26,11).

Da questi presuppost­i derivava il disegno tonioliano di una democrazia «sostanzial­e», fondata sui valori cristiani e sull’emancipazi­one dei ceti più deboli, premessa di una convivenza compiutame­nte civile.

La «vita buona», per Toniolo, era una costruzion­e sociale e politica realizzabi­le con azioni concrete, non strettamen­te economiche e non solo politiche, in grado di dare esempio alle nuove generazion­i delle responsabi­lità per il bene comune.

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Giuseppe Toniolo (1845-1918) a Roma, in piazza San Pietro, nel 1915

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