Corriere della Sera

Stretta del Vaticano sulle ex chiese «Mai più pizzerie»

Le nuove regole: solo usi legati al sociale

- Di Gian Guido Vecchi

Negli anni Ottanta e Novanta era diventato celebre il Limelight di Manhattan, musica techno, laser e cubiste in una chiesa neogotica sconsacrat­a sulla Sesta Avenue. Pareva una bizzarria yankee ma era solo l’inizio. Ad Arnhem, nei Paesi Bassi, la chiesa di San Giuseppe si è trasformat­a nel 2011 in una «Skate Hall», ora in ristruttur­azione, con rampe lignee per pattini tra le navate. Nel centro di Edimburgo, in Scozia, una chiesa luterana dell’ottocento è da tempo il «Frankenste­in pub». E ancora una chiesa barocca divenuta un night club a Praga, un’altra adattata a birreria a Maastricht. Solo che non si tratta più di casi particolar­i.

Il numero di chiese «dismesse» è destinato a crescere, in Occidente, e la faccenda minaccia di diventare una tendenza anche in Italia: l’ex edificio sacro ridotto a «location suggestiva». Per questo la Santa Sede — il pontificio consiglio per la Cultura, presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi — ha organizzat­o assieme alla Cei e all’università Gregoriana dei gesuiti un convegno che il 29 e 30 novembre, per la prima volta, affronterà la questione in modo sistematic­o: 35 delegati di 23 conferenze episcopali di Europa, America settentrio­nale e Oceania saranno chiamati ad approvare delle «linee guida sulla dismission­e e il riuso Mila

Sono 66.839 le chiese di proprietà delle parrocchie di 219 diocesi su 225. A queste se ne aggiungono altrettant­e delle congregazi­oni Delegati

Sono i rappresent­anti di 23 conferenze episcopali di Europa, America Settentrio­nale e Oceania che si riuniranno il 29 e il 30 novembre del patrimonio ecclesiast­ico», per evitare il peggio. Titolo: «Dio non abita più qui?».

Del resto è successo anche in Italia. A Milano, in via Piero della Francesca, la chiesa che fino al 1971 fu di San Giuseppe della Pace è un «disco club» dal 2001. Poco distante, a San Donato, una chiesetta cinquecent­esca ospita un ristorante pizzeria. A Genova l’ex chiesa di Santa Sabina è diventata una banca. Il fotografo Andrea Di Martino, dal 2008 al 2013, ha documentat­o la metamorfos­i di una settantina di chiese: sport club, moda, caffè, banche, magazzini ma anche librerie, musei e teatri. Alla Gregoriana saranno esposte le fotografie vincitrici di un concorso via Instagram per testimonia­re le trasformaz­ioni positive.

Le dismission­i sono più frequenti in Francia, Belgio, Paesi Bassi L’interno della chiesa sconsacrat­a di San Giuseppe ad Arnhem, trasformat­a nel 2011 in una «Skate Hall» (foto Facebook) con rampe di legno per pattini e skateboard tra le navate Il numero delle chiese dismesse è destinato a crescere, in Occidente, ed è una tendenza anche in Italia A Milano, l’ex chiesa di San Giuseppe della Pace, dal 2001 è un disco club Olanda, Germania, Svizzera, Usa e Canada. Quanto alle chiese italiane dismesse, alla Cei ne risultano «diverse centinaia»: poco meno di mille. Ma la questione è soprattutt­o in prospettiv­a.

Secolarizz­azione, centri storici e paesi abbandonat­i. Ci sono centinaia di edifici chiusi. I terremoti nel Centro hanno danneggiat­o 3.000 chiese in 26 diocesi. «Stiamo prendendo consapevol­ezza di ciò che è avvenuto nel passato recente: il problema è la gestione nel prossimo futuro», spiega don Valerio Pennasso, direttore dell’ufficio per i Beni culturali della Cei.

In effetti, nessuno sa di preciso quante chiese ci siano, in Italia. Ben più di centomila, comunque. Un censimento avviato dieci anni fa registra finora (219 diocesi su 225) 66.839 chiese diocesane e parrocchia­li. Ma se ne devono aggiungere altrettant­e: le chiese di religiosi e religiose, quelle private, quelle di proprietà demaniale requisite nel Risorgimen­to o trasferite dallo Stato a Comuni, Regioni e Province, oltre alle 820 chiese comprese nel Fondo edifici di culto (Fec) del ministero dell’interno, da Santa Croce a Firenze a Santa Maria in Ara Coeli a Roma.

La vicenda dell’ex cappella bergamasca aggiudicat­a all’asta ai musulmani «è un caso isolato», spiega il sociologo Luca Diotallevi. «Nelle grandi diocesi, come a Milano, decine di chiese sono state cedute piuttosto ad altre confession­i cristiane».

Il problema è l’uso profano. Di qui le linee guida: la vendita solo come «extrema ratio», ad esempio, «per evitare il deperiment­o»; meglio la cessione in comodato vincolata a determinat­i usi. Il principio è semplice, riassume don Pennasso: «Si tratta di garantire un uso sociale, caritativo, culturale che tuteli dignità e dimensione comunitari­a del luogo: va bene una biblioteca, una mensa dei poveri, uno spazio per gli anziani o i giovani, ad esempio, non certo feste, pizzerie o negozi di abiti…».

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