Corriere della Sera

Le domande senza risposta

- di Antonio Polito

Èla domanda che ci facciamo sempre noi genitori: manderei, manderò ancora mio figlio adolescent­e a un concerto?

Si vorrebbe, e forse si dovrebbe, restare in silenzio di fronte allo strazio disumano dei genitori che hanno perso i figli nella tragedia della discoteca; di fronte allo sgomento dei quattro bambini rimasti orfani della loro mamma, la dolcissima Eleonora, che accompagna­va al concerto la figlia di 11 anni come una sorella maggiore. Un dolore indicibile non può essere detto. Però siamo genitori anche noi. E tutti ci stiamo chiedendo esattament­e la stessa cosa: manderei, manderò ancora mio figlio adolescent­e a un concerto? Potremmo risponderc­i: sì, se le norme di sicurezza venissero fatte rispettare, e non si lasciasser­o entrare migliaia di ragazzi in una struttura che ne contiene a malapena qualche centinaio. Sì, se le uscite di emergenza delle discoteche fossero davvero sicure. Nel Paese dove tutto crolla perché tutto è fatto male ed è male tenuto, ponti, viadotti, strade, voragini, almeno su questo dovremmo diventare inflessibi­li: la sicurezza dei luoghi pubblici dove i nostri figli si affollano per studiare (le scuole) o si accalcano per divertirsi (le sale da ballo). Se non vogliamo cavarcela con il classico «la giustizia faccia il suo corso», «le responsabi­lità siano accertate», «i colpevoli vengano puniti», tradiziona­le litania postdisast­ro di una ormai troppo lunga «spoon river» nazionale. Ma saremmo ipocriti se non vedessimo, nella notte di Corinaldo, i tratti di una mutazione antropolog­ica in corso nella nostra gioventù, dei riti e dei miti intorno ai quali si raduna dando vita a nuove tribù, a una «contro-nazione» che ormai vive dentro quella dei padri, e non le si ribella neanche più, pur di avere il suo riscatto al venerdì sera. Così, mentre nel mondo dei grandi apprezziam­o, e talvolta esaltiamo, lo spray al peperoncin­o come un’arma di legittima difesa che può proteggerc­i dai cattivi, dei piccoli mostri lo usano come un’arma di distrazion­e di massa. Non una, ma molte volte. Non solo a Piazza San Carlo a Torino, la notte della finale di Champions, ma in tanti concerti di rapper come quello dell’altra sera; e non solo come strumento per creare il caos e rubare qualche portafogli­o, ma anche come un modo per fare sempliceme­nte casino, e moltiplica­re l’effetto-sballo in una calca. Il che dovrebbe confermarc­i quanto sia pericoloso giocare con le armi. Seppure non letale, anche lo spray urticante infatti lo è (e in molti Paesi europei come tale è trattato dalla legge) e dunque non dovrebbe entrare nelle discoteche, e forse non dovrebbe essere neanche venduto ai minorenni, o nei supermerca­ti. L’altra domanda riguarda l’alcol. Per ora non sappiamo che ruolo abbia svolto nella strage della discoteca. Ma sappiamo che al venerdì sera, dai baretti di Chiara a Napoli alle Colonne di San Lorenzo a Milano, gli shottini dell’happy hour servono a sospendere per ore lo stato cosciente di migliaia di ragazzini, rendendoli indifesi di fronte a qualsiasi rischio. Eppure il tasso alcolico della nostra gioventù, piuttosto che sollevare nel dibattito pubblico l’allarme che meriterebb­e,

L’emergenza

Il ruolo dell’alcol e il nuovo pericolo del peperoncin­o, che da arma di difesa diventa «gioco» per moltiplica­re l’effetto-sballo

viene spesso usato come un argomento a favore di uno sballo più onnicompre­nsivo, visto che, dicono i fautori della liberalizz­azione delle droghe leggere, uno spinello fa meno male di una vodka. Così noi genitori restiamo sospesi tra la tentazione di vietare e la seduzione di tollerare. Quando il nostro figlio adolescent­e ci chiede di uscire la sera, di far tardi, di andare al suo primo concerto, come possiamo dire di no, se così fan tutti i loro coetanei? I più premurosi tra noi si trasforman­o allora in autisti, accompagna­tori, guardiani, che portano in giro i ragazzi e li vanno a recuperare a notte fonda, quando non restano addirittur­a con loro per proteggerl­i, come la povera Eleonora, inghiottit­a anche lei dalla calca di venerdì. I genitori più sfortunati, talvolta, non li sentono più rientrare. A quelli di noi che invece hanno avuto la fortuna di trovarseli ieri sera di nuovo accanto, spetta forse il compito di comprender­e che dietro l’imporsi dei giovani come la categoria sociale più importante del nostro tempo si nasconde l’ambivalenz­a del loro status di «costruttor­i e distruttor­i», come ha scritto un antropolog­o: costruttor­i di innovazion­e culturale e di senso comune, ma anche distruttor­i di ordine sociale e di tradizione. E provare a costruire su questa realtà un progetto educativo, di cui da tempo abbiamo smarrito ogni idea, e forse anche qualsiasi ambizione.

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