Le domande senza risposta
Èla domanda che ci facciamo sempre noi genitori: manderei, manderò ancora mio figlio adolescente a un concerto?
Si vorrebbe, e forse si dovrebbe, restare in silenzio di fronte allo strazio disumano dei genitori che hanno perso i figli nella tragedia della discoteca; di fronte allo sgomento dei quattro bambini rimasti orfani della loro mamma, la dolcissima Eleonora, che accompagnava al concerto la figlia di 11 anni come una sorella maggiore. Un dolore indicibile non può essere detto. Però siamo genitori anche noi. E tutti ci stiamo chiedendo esattamente la stessa cosa: manderei, manderò ancora mio figlio adolescente a un concerto? Potremmo risponderci: sì, se le norme di sicurezza venissero fatte rispettare, e non si lasciassero entrare migliaia di ragazzi in una struttura che ne contiene a malapena qualche centinaio. Sì, se le uscite di emergenza delle discoteche fossero davvero sicure. Nel Paese dove tutto crolla perché tutto è fatto male ed è male tenuto, ponti, viadotti, strade, voragini, almeno su questo dovremmo diventare inflessibili: la sicurezza dei luoghi pubblici dove i nostri figli si affollano per studiare (le scuole) o si accalcano per divertirsi (le sale da ballo). Se non vogliamo cavarcela con il classico «la giustizia faccia il suo corso», «le responsabilità siano accertate», «i colpevoli vengano puniti», tradizionale litania postdisastro di una ormai troppo lunga «spoon river» nazionale. Ma saremmo ipocriti se non vedessimo, nella notte di Corinaldo, i tratti di una mutazione antropologica in corso nella nostra gioventù, dei riti e dei miti intorno ai quali si raduna dando vita a nuove tribù, a una «contro-nazione» che ormai vive dentro quella dei padri, e non le si ribella neanche più, pur di avere il suo riscatto al venerdì sera. Così, mentre nel mondo dei grandi apprezziamo, e talvolta esaltiamo, lo spray al peperoncino come un’arma di legittima difesa che può proteggerci dai cattivi, dei piccoli mostri lo usano come un’arma di distrazione di massa. Non una, ma molte volte. Non solo a Piazza San Carlo a Torino, la notte della finale di Champions, ma in tanti concerti di rapper come quello dell’altra sera; e non solo come strumento per creare il caos e rubare qualche portafoglio, ma anche come un modo per fare semplicemente casino, e moltiplicare l’effetto-sballo in una calca. Il che dovrebbe confermarci quanto sia pericoloso giocare con le armi. Seppure non letale, anche lo spray urticante infatti lo è (e in molti Paesi europei come tale è trattato dalla legge) e dunque non dovrebbe entrare nelle discoteche, e forse non dovrebbe essere neanche venduto ai minorenni, o nei supermercati. L’altra domanda riguarda l’alcol. Per ora non sappiamo che ruolo abbia svolto nella strage della discoteca. Ma sappiamo che al venerdì sera, dai baretti di Chiara a Napoli alle Colonne di San Lorenzo a Milano, gli shottini dell’happy hour servono a sospendere per ore lo stato cosciente di migliaia di ragazzini, rendendoli indifesi di fronte a qualsiasi rischio. Eppure il tasso alcolico della nostra gioventù, piuttosto che sollevare nel dibattito pubblico l’allarme che meriterebbe,
L’emergenza
Il ruolo dell’alcol e il nuovo pericolo del peperoncino, che da arma di difesa diventa «gioco» per moltiplicare l’effetto-sballo
viene spesso usato come un argomento a favore di uno sballo più onnicomprensivo, visto che, dicono i fautori della liberalizzazione delle droghe leggere, uno spinello fa meno male di una vodka. Così noi genitori restiamo sospesi tra la tentazione di vietare e la seduzione di tollerare. Quando il nostro figlio adolescente ci chiede di uscire la sera, di far tardi, di andare al suo primo concerto, come possiamo dire di no, se così fan tutti i loro coetanei? I più premurosi tra noi si trasformano allora in autisti, accompagnatori, guardiani, che portano in giro i ragazzi e li vanno a recuperare a notte fonda, quando non restano addirittura con loro per proteggerli, come la povera Eleonora, inghiottita anche lei dalla calca di venerdì. I genitori più sfortunati, talvolta, non li sentono più rientrare. A quelli di noi che invece hanno avuto la fortuna di trovarseli ieri sera di nuovo accanto, spetta forse il compito di comprendere che dietro l’imporsi dei giovani come la categoria sociale più importante del nostro tempo si nasconde l’ambivalenza del loro status di «costruttori e distruttori», come ha scritto un antropologo: costruttori di innovazione culturale e di senso comune, ma anche distruttori di ordine sociale e di tradizione. E provare a costruire su questa realtà un progetto educativo, di cui da tempo abbiamo smarrito ogni idea, e forse anche qualsiasi ambizione.
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