Salvini e la piazza: tratto io con la Ue
Nella calca per il selfie tanti militanti arrivati dal Sud
Matteo Salvini a Roma riempie la piazza post-leghista. «Datemi il mandato per trattare con la Ue».
Chi temeva la calata dei lanzichenecchi si è trovato di fronte un esercito disarmato, fanterie leghiste e anime sparse, anziani e famiglie, comunissimi mortali in cerca di una parola di speranza. «Salvini, salva i poveri». Per conquistarsi un posto attorno all’obelisco arrivano in pullman, in treno, in auto o con la metro e a mezzogiorno, sospinti dall’onda umana che si gonfia, dilagano lungo le vie del Tridente o fra gli alberi del Pincio: «Matteo! Matteo!». Migliaia, decine di migliaia di persone partite dal Nord, dalla Calabria e dalla Puglia, dalla Campania, dalla Basilicata e dalle periferie di Roma, una marea che da anni non si vedeva per un leader in piazza del Popolo.
La presa di Roma di Matteo Salvini è una conquista dolce, più da santone che da comandante. Il vicepremier che punta dritto a Palazzo Chigi stempera il grido antieuropeista, spegne la musica celtica e si affida alle stelle di Puccini che tremano d’amore e di speranza: «All’alba vincerò». È una folla adorante, imprecante, supplicante. Leghisti storici in mimetica, putiniani di nuovo conio e pentiti di ogni colore. L’avvocato orfano di An è partito da Gavignano in cerca «della destra classica». Il berlusconiano deluso Piero Vigorelli è qui «da giornalista». C’è il cinquestelle in incognita e il già renziano venuto ad annusare.
Un tipo strampalato brandisce una capanna del presepe e un altro, capelli lunghi da vichingo, minaccia il mondo con un crocifisso e una foto del presidente russo: «Matteo Salvini, Gesù e Putin! Vladimir è con noi, ci dà i mezzi militari per abbattere questa Europa di banchieri, Soros e i demoni delle multinazionali». Aldo il muratore arriva dalla borgata di Centocelle e rimpiange l’uomo forte: «So’ fascista, so’ stato balilla e lupetto, c’ho 83 anni e so’ contro le pensioni d’oro. Perché io 800 e quello 90 mila?».
E le teste rasate? I bomber neri? No, l’aria non è più questa. Il 2015 del primo comizio, quando la Lega era al 4% e i duri di Casapound piombarono giù dal Pincio a braccio teso e foto del Duce in vista, è lontano anni luce. Ora la piazza è in larga parte dei disoccupati, dei pensionati con assegni da carrello vuoto. «So’ arrabbiata, sì, cattiva coi vecchi governanti che hanno magnato — si sfoga Nevicella, romana, 64 anni —. Io lavoro, lavoro e non arrivo mai». La prima fila è tutta delle donne. Resistono ore in piedi schiacciate sulle transenne, per un selfie, un bacetto al bambino o un buffetto al cagnolino. Maria Drioli ha portato il ringhioso Ginger: «Salvini a Genova gli ha fatto le carezze. I migranti? Aiutiamoli a casa loro». Giulia ha lunghi capelli rossi, la t-shirt col faccione «Matteo salvaci tu» e un ritratto in cornice da donare al suo eroe. Lorenza Abram, 55 anni, avverte: «Se Salvini cade qui c’è la rivoluzione, perché il popolo l’ha votato». Eccolo, il popolo. Parla tutti i dialetti dello Stivale, alza timidamente il Tricolore, sventola con foga il vessillo bianco di Salvini, quello rosso col Leone di Venezia o il verde del sole delle Alpi. «L’italia non è una colonia», rivendica lo striscione giallo. «No al reddito di cittadinanza», ammonisce un cartello. Alessandro Coricelli da Crotone se ne sta avvolto nel tricolore perché «la vera rivoluzione l’ha fatta quest’uomo, ha unificato l’italia».
La sinistra sul cuore e le mani giunte in segno di preghiera, il vicepremier cita il «Buon Dio» una dozzina di volte, respinge odio e polemiche e distilla «buonsenso» per spazzar via l’immagine di ministro della paura. Il condottiero ha il pugno duro e il cuore d’oro, è insieme idolo pop e icona degna di venerazione, persino un martire «pronto a dare la vita per il Paese». Si alzano fumogeni
Il coro
E dalla piazza parte il coro, una volta coniato per Totti: «Un capitano, c’è solo un capitano»
verdi, bianchi e rossi e parte il coro coniato per Francesco Totti: «Un capitano, c’è solo un capitano». Adesso il campione è Matteo e i gol che la curva romana si aspetta da lui sono la ruspa contro i Casamonica, la pistola in casa, i porti chiusi, la sfida alla libera stampa e ai «poteri forti». Accasciato sotto Porta del Popolo, un barbone si gode la festa: «Voglio il Papa, 5.000 Mussolini e un milione di garibaldini. Il voto? L’ho dato a Bossi, a Berlusconi, a Fini e a Salvini. Non voglio nemici, io».