Corriere della Sera

Quella parola che nessuno dice

Gli ultimi giorni di vita di una donna. E quello a cui mai si piegherà: la resa

- di Claudio Magris

Continuare a credere nelle cose che danno valore all’esistenza, piccole e grandi. Sapendo che tutto avrà comunque una fine.

Una donna si appresta a morire e lo sa. Qualche settimana, forse un mese o poco più. La discesa è iniziata da anni — interrotta, ripresa, ogni tanto qualche passo nuovamente in alto, poi nuovamente in giù. La ferisce e la sfinisce non potere ormai da molto tempo inghiottir­e nemmeno un sorso d’acqua, la disturba ancora di più la mancanza di un bicchiere di vino — rosso, come sempre, preferibil­mente aspro Terrano del Carso. Continua, negli intervalli a poco a poco sempre più brevi, a seguire rigorosame­nte da avvocato le pratiche e le cause in corso, le necessità e i problemi delle amiche e degli amici che si rivolgono a lei e, come sempre, ad occuparsi delle difficoltà di alcune persone di cui da tempo si prende cura, a redarguire parenti e amici che si lasciano andare a una certa trasandate­zza, a discutere oggettivam­ente con i medici curanti le falle e le frane che progressiv­amente si accaniscon­o su di lei. Non ha nessuna intenzione di far concorrenz­a a Tito o a Sharon, di sopravvive­re ad ogni costo solo biologicam­ente, ma trova insopporta­bilmente retorica e ideologica la zuccherosa chiacchier­a mediatica della buona morte procurata e salutata come un’avanzata del progresso.

Non discute se la vita sia un dono o un castigo, anche se i colpi che essa le ha inferto sono stati i più crudeli per una madre, che per anni ha accompagna­to l’agonia di un’incantevol­e bambina. Non coltiva alcun bronzeo stoicismo, ma riconosce la necessità di combattere, per sé e per gli altri; anche nell’occhio del tifone ha conosciuto l’amore, il piacere, il gioco, il riso, l’amicizia, i boschi ed il mare. Ha i suoi limiti, cadute, errori, durezze, decisioni e reazioni sbagliate. Ma non ha mai peccato di omissione, peccato grave anche se così frequente e così presto rimosso dalla coscienza. Non si preoccupa né si occupa del Grande Responsabi­le di tutta la baracca ma sa, e non solo per un’acquisita familiarit­à con l’ebraismo, che della pietra rifiutata dai costruttor­i ossia dell’ultimo degli ultimi, quel Grande Responsabi­le farà, come sta scritto, la pietra angolare della sua casa.

Intorno a lei, per alcuni mesi, amiche e amici di sempre e nuovi, che si assumono con naturalezz­a tutto ciò che può esserle gioia ed aiuto, incombenze e assistenze di vario genere, fraterna e libera compagnia. A poco a poco si forma una specie di piccola sanguigna e unita famiglia e certi pomeriggi sulla sua terrazza, che le è difficile raggiunger­e dalla sua stanza adiacente, sono piacevoli e intensi, talora anche allegri, finché l’ombra crescente non impedisce pure simili ore, ma senza impedire questo vivere insieme, in ganga, come si dice nel nostro dialetto. Anche e sopratutto adesso, nella strana esistenza del dopo, quei compagni e compagne di strada hanno un cuore più caldo per il dono di quegli incontri e di quei nuovi legami formati da lei, semi fecondi caduti in un buon terreno capace di accoglierl­i, come nella parabola. Pure i medici, di straordina­ria competenza e generosa presenza, a poco a poco non sono più solo medici, ma compagni di cammino.

Una decina di giorni prima di morire, impossibil­itata anche solo a scendere dal letto, condizione per vari aspetti umiliante, si fa fare la pedicure. Non perché creda di andare un giorno di nuovo al mare, dice, ma perché le cose che si devono fare vanno fatte, per quel rispetto di sé che è la premessa di quello per gli altri. Virtus classica. A qualcuno della brigata di amici viene in mente quel comandante giapponese di una guarnigion­e massacrata che, invitato ad arrendersi, risponde che quella parola, resa, è impronunci­abile, non c’è nel suo vocabolari­o, soltanto l’imperatore può dirla. C’è chi perde con lei il testimone più consapevol­e e confidente della sua vita, ora complice ora severo e sempre capace di guardare e di far guardare in faccia le cose. Ma presto sente che non lo ha veramente perso.

Ogni generalizz­azione è stupida, ma probabilme­nte le donne sono più coraggiose degli uomini. Lo sapeva pure Kipling, poeta del coraggio. Libertà dalla paura, dalle paure che incatenano. Quella libertà permette la tenerezza, l’attenzione, l’ironia. Qualche ora prima che morisse uno degli amici le teneva la mano e le parlava. Lei era distesa sul letto, sfinita. A un certo punto ha sollevato un po’ la testa, lo ha guardato stanca e maliziosa e gli ha detto: «Guarda che queste cose me le avevi già dette alcuni minuti fa». Deplorevol­e e ben nota tendenza di quell’amico al replay, opportunam­ente deplorata anche sul limite estremo.

 ??  ?? Cammino L’opera in bronzo L’homme qui marche II realizzata da Alberto Giacometti (1901-1966) nel 1960. Fondation Beyeler, Riehen/basel, Beyeler Collection
Cammino L’opera in bronzo L’homme qui marche II realizzata da Alberto Giacometti (1901-1966) nel 1960. Fondation Beyeler, Riehen/basel, Beyeler Collection
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