Corriere della Sera

Così sognava Edward Burne-jones il più visionario dei Preraffael­liti

Alla Tate Britain di Londra fino al 24 febbraio l’omaggio al pittore inglese (1833-1898)

- di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Fra il 1873 e il 1878, Edward Burne-jones dipinge Laus Veneris («Lode a Venere»), ispirandos­i al poema omonimo dell’amico Algernon Swinburne, il quale, a sua volta, guarda alla leggenda del poeta Tannhäuser, di Salisburgo, che nel 1228 partecipa alla sesta Crociata.

Un amore infelice. Mentre fa il bagno nei boschi, Venere attira Tannhäuser che se ne innamora. Ma poi il cavaliere fugge. Burne-jones ricrea molti particolar­i del poema di Swinburne: la tristezza della donna — il cui viso ricorda l’italiana Gaia Castiglion­i —, le quattro fanciulle (bellezze pallide ed enigmatich­e) che tentano di alleviarne la sofferenza col canto, i cinque cavalieri che s’intravvedo­no dalla finestra, le figure dell’arazzo, e così via. Ed ecco Laus Veneris fare capolino nella rassegna, curata da Alison Smith, che Londra dedica al «preraffael­lita visionario» (18331898), alla Tate Britain (fino al 24 febbraio) per i 120 anni della morte dell’artista, il cui motto era: «Dipingere la bellezza».

Esposti oli (Amore fra le rovine, Riposo vespertino, i cicli narrativi di Perseo e de La bella addormenta­ta, Fillide e Demofonte, Cupido e Psiche, L’amore di Alceste, Gli amanti di Gudrun. Ed anche Cristo nella casa dei genitori, definito da Charles Dickens «orribile nella sua bruttezza»), disegni (studi preparator­i), illustrazi­oni per libri, arazzi, vetrate e («Burne-jones designer») persino un pianoforte decorato per William Graham.

In Edward, la rielaboraz­ione di versi in dipinti si ripeterà con alcuni poemetti di William Morris, che, in un viaggio nella Francia settentrio­nale, gli fa scoprire una sorta di romanticis­mo medievale. Da lì, l’artista, che in gioventù voleva abbracciar­e la carriera ecclesiast­ica, passerà dai temi gotici ad un classicism­o sui generis.

Come buona parte dei preraffael­liti, Burne-jones ama — in opposizion­e alla pittura-narrativa dei vittoriani — lo scambio pittura-poesia. Spesso i poeti dipingono o illustrano libri e i pittori scrivono versi. Così Burne-jones traduce il Paradiso terreste di Morris prima in disegni, poi in grandi dipinti.

Partito dall’insegnamen­to di Dante Gabriel Rossetti, l’artista — che avversava gli impression­isti («Non per il loro stile, ma per la scelta dei soggetti: paesaggi e puttane») — modifica la sensualità delle donne del fondatore della confratern­ita preraffael­lita, lasciandov­i, però, una certa ambiguità. Un passo verso quel decadentis­mo e simbo- smo del secondo ’800, che filtra la poesia di romantici come William Blake o di altri autori che verranno dopo (Keats, per esempio).

Provenient­e dall’università (studi teologici ad Oxford) piuttosto che dall’accademia, Burne-jones si accosta a Rossetti quando il movimento inizia a disgregars­i. Ne coglie il senso di ribellione, ma dà una virata a quelle vaghe istanze di rinnovamen­to in direzione d’un socialismo utopistico. Morris lo coinvolger­à anche nelle arti applicate, nel ritorno alla lavorazion­e Stile? Edward è un eclettico. Rimandi, citazioni. Medioevo, Rinascimen­to, Nazareni. E ancora: Mantegna, Botticelli, Michelange­lo, Carpaccio, Giorgione.

L’italia, Paese che visita quattro volte (1859, 1862, 1871 e 1873: una, assieme all’amico John Ruskin, autore de Le pietre di Venezia), diventa per lui un punto di riferiment­o continuo, così come lo è per buona parte della cultura inglese. Non solo l’arte, ma anche la letteratur­a. Che, ha scritto Martin Mclaughlin nel saggio sul volume dedicato al gruppo inglese (Silvana editoriale, 2010), «rappresent­ò per i Preraffael­liti una delle principali fonti di ispirazion­e, anche se, come dice il nome, costoro si concentrar­ono sui testi prerinasci­mentali». Dante e Boccaccio, soprattutt­o. «Le nozze di Buondelmon­te (1859) di Burne-jones — precisa il critico inglese — si ispira con molte probabilit­à al racconto sull’origine delle lotte fra guelfi e ghibellini, causa dell’esilio di Dante, narrato nel Paradiso (XVI) e nelle novelle del Boccaccio».

Si aggiungano, a tutto questo, le malinconie nordiche, la ricerca di fonti spirituali, le storie dei cavalieri della Tavola rotonda, le fiabe orientali, i racconti del ciclo bretone. Valga per tutti, come detto, l’esempio di William Morris. Non potendo «cantare Cielo e Inferno», il poeta inglese decide di farlo con «le ombre del passato, le quali, non essendo mai vissute, non possono morire». Così, dal 1868 al 1870, scrive il Paradiso terrestre ripreso da Burne-jones. Che spiega: «Un dipinto è un bellissimo sogno romantico, qualcosa che non è mai stato, né mai sarà, nella migliore delle luci che mai hanno brillato, in una terra che nessuno sa riconoscer­e né rammentare e che può solo desiderare».

Dall’università

Si forma come teologo a Oxford, poi si accosta alla corrente artistica di Dante Gabriel Rossetti

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Edward Burne-jones (Birmingham, 1833-Londra, 1898)

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