Corriere della Sera

Il «format» di quelle battaglie che rivoluzion­ò l’arte bellica

Tutte le sue unità avevano un compito ad hoc. E persino Roma si adattò

- Di Andrea Santangelo

Le guerre puniche furono combattute senza esclusione di colpi: Roma e Cartagine si ingegnaron­o per poter trovare nuove armi e tattiche. La vocazione imperiale delle due repubblich­e era l’unica cosa che le accomunava, per il resto differivan­o in tutto. L’urbe eterna aveva la violenza come mito fondante (Romolo che uccide Remo): non si avevano diritti politici se non si militava. Cartagine aveva nel suo dna il commercio e i suoi cittadini avevano demandato le incombenze belliche ai mercenari. La tradizione commercial­e fenicia si rispecchia­va nella forza e nelle capacità delle flotte cartagines­i, abili nell’inventare due nuovi navi Pittura da battaglia, la quadrireme e la quinquerem­e, che garantiron­o per oltre un secolo un indiscusso dominio navale.

La superiore qualità e agilità degli scafi, unite all’esperienza degli equipaggi, erano John Trumbull, «Morte di Emilio Paolo a Canne» uno spauracchi­o per chiunque. A terra, invece, Cartagine basava la sua forza sulla tradizione militare ellenistic­a, quella di Filippo II, Alessandro il grande e Pirro. Dai sovrani macedoni mutuò l’uso combinato in battaglia della falange e delle cavallerie, pesanti e leggere, mentre dal re dell’epiro prese l’utilizzo degli elefanti da guerra e una maggiore fluidità nella manovra delle fanterie.

Fu il genio militare di Annibale, però, che rivoluzion­ò l’esercito: nella seconda guerra punica lo portò al livello di quello romano. Maestro di stratagemm­i e imboscate, l’ulisse punico sorprese i romani passando per le Alpi e portando la guerra in Italia. Con sé aveva una mandria di elefanti, usati forse per mascherare la debolezza numerica della fanteria pesante, ma che in realtà influirono poco: quasi tutti morirono. L’ultimo, Surus (il Siriano), spirò nei pressi di Arezzo. Annibale non se ne fece cruccio: il suo esercito non si basava più sulla meccanica applicazio­ne di regole e dettami ellenistic­i, ma su un differente disegno tattico per ogni scontro.

Tutte le unità al suo comando avevano un compito ad hoc da eseguire nel grande piano della battaglia, persino il nemico seguiva il preciso copione che lui aveva scritto. Annibale, infatti, era un perfetto conoscitor­e della psicologia e delle ferree tradizioni ● Andrea Santangelo, esperto di storia militare, ha scritto vari libri; ricordiamo L’italia va alla guerra, il falso mito di un popolo pacifico (Longanesi) di guerra romane. Canne è tutt’oggi considerat­a e studiata come la battaglia perfetta perché non solo l’esercito punico eseguì esattament­e quello che voleva Annibale, ma lo fecero anche i romani. Per contrastar­e questo incubo bellico i romani dovettero trovare modi alternativ­i di combattere. Con Quinto Fabio Massimo, il Temporeggi­atore, smisero di accettar battaglia, poi con Publio Cornelio Scipione, che aveva studiato attentamen­te Annibale, mutarono le tattiche di fanteria.

Dalla Spagna Scipione portò in dotazione all’esercito il gladio ispanico. Era un’arma a doppio taglio con una lama larga e una punta triangolar­e affilatiss­ima da ambo i lati. Intruppato nella fitta prima fila della legione e schiacciat­o contro il muro di scudi del nemico, il legionario romano necessitav­a di un’arma corta che colpisse i punti deboli di chi lo affrontava e il gladio si dimostrò letale. Scipione poi utilizzò in modo diverso i manipoli della legione, rendendoli tatticamen­te più indipenden­ti, sulla falsariga di La tattica quanto faceva Annibale con le sue fanterie pesanti, dimostrand­o di essere l’unico vero erede del genio militare punico. Roma, per poter vincere, cambiò anche politicame­nte: concesse la proroga dei comandi ai generali più competenti e derogò dal tradiziona­le cursus honorum. Il cambiament­o, d’altronde, era stato la chiave della vittoria anche nella prima guerra punica. Roma, nata dall’unione di tribù di pastori latini e sabini, aveva sempre basato il suo potere sulle legioni di fanti pesanti, ma per battere Cartagine si inventò repubblica marinara. Copiò una quinquerem­e punica finita in secca e creò dal nulla una grande flotta.

Per evitare la superiore capacità di virata delle navi puniche, i romani dotarono le proprie del «corvo», un ponte mobile che si conficcava nello scafo nemico e ne permetteva l’abbordaggi­o, portando così sul mare la guerra terrestre. «Orso» era invece l’altra invenzione che urtava la nave nemica per sbilanciar­la e far cadere in acqua rematori e timoniere. Al termine di tre guerre, distruttiv­e come poche altre nella storia, il Mediterran­eo appartenev­a a Roma, la superpoten­za che accolse e metabolizz­ò meglio i cambiament­i sociali, militari e politici.

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Per contrastar­e tale incubo bellico, i romani dovettero trovare modi alternativ­i di combattere

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 ??  ?? StovigliaP­iatto con elefanti in assetto di guerra, 275 secolo a.c., ceramica a vernice nera sovradipin­ta, Roma, Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia, da Capena
StovigliaP­iatto con elefanti in assetto di guerra, 275 secolo a.c., ceramica a vernice nera sovradipin­ta, Roma, Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia, da Capena
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Lo storico

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