Corriere della Sera

Il nuovo ruolo del premier

I primi dubbi di Salvini e Di Maio quando anche Savona ha frenato sul deficit

- di Monica Guerzoni

ROMA Salvo drammatici colpi di scena, la procedura d’infrazione è scongiurat­a. Ma a Palazzo Chigi non c’è aria di brindisi, né di feste dal balcone. La cautela regna sovrana ed è uno stato d’animo che non riguarda solo l’attesa per il verdetto della Commission­e europea sui conti dell’italia. La prudenza che sembra aver contagiato tutti, da Conte a Giorgetti, da Salvini a Di Maio, investe la tenuta della maggioranz­a e il destino di un esecutivo che rischia ogni giorno di soccombere a se stesso, più che alle pressioni esterne.

L’iter da infarto della legge di bilancio ha portato alla luce difficoltà e contraddiz­ioni dell’alleanza gialloverd­e e fatto esplodere i contrasti fra le due forze che hanno dato vita al governo. Ma se i leader di Lega e M5S sono stati in grado, nel momento più critico, di affidarsi al senso di responsabi­lità e invertire la marcia, è perché hanno compreso in corsa tutti i rischi dell’impuntatur­a attorno alla linea Maginot del 2,4%. Grazie al gioco di prestigio comunicati­vo di Rocco Casalino quel numeretto è diventato un 2,04% e ieri nel chiuso di Palazzo Chigi l’invenzione è stata lodata come un «colpo di genio». Un’abile trovata in grado di convincere larga parte dell’opinione pubblica che nessuno al governo si sia «calato le braghe», per dirla con Matteo Salvini.

«Reddito e quota 100 non sono stati toccati» assicurano i comunicato­ri del governo, decisi a riscrivere lo storytelli­ng di un premier determinat­o a stringere i cordoni della borsa rispetto ai suoi vice: «Conte non ha mai pensato di cedere, nemmeno per un momento». Neanche ieri mattina, assicurano a Palazzo Chigi, quando il tam tam da Bruxelles diceva che tutti gli scenari erano ancora aperti. «L’incertezza non è ancora dissipata — mantiene la prudenza un membro del governo —. Se c’è un dibattito e finisce con un voto, sono pur sempre 28 persone». Al vertice del governo prevale la convinzion­e che il finale della storia sarà, per così dire, lieto.

Al principio sia Di Maio che Salvini sembravano aver sottovalut­ato gli effetti di una procedura di infrazione sul debito: il crollo delle borse, l’impennata dello spread, lo schizzare verso l’alto dei tassi di interesse, il calo conseguent­e della fiducia degli imprendito­ri... Ma poi, quando anche il ministro Paolo Savona ha rivisto le sue teorie sul fare deficit per innescare la crescita, anche i due vicepremie­r hanno cominciato a sentire sulle spalle il peso di una possibile recessione.

Il resto lo hanno fatto i sondaggi, registrand­o la preoccupaz­ione crescente degli italiani, e lo ha fatto il terzetto dei «mediatori», che ha trattato con i vertici dell’europa. Giuseppe Conte, Giovanni Tria ed Enzo Moavero sembravano destinati a finire asfaltati dai capipartit­o. E invece si deve anche all’ostinazion­e del trio di «indipenden­ti», che ha giocato di sponda con il Quirinale e con la Ue, la soluzione di un rebus che ha fatto sbandare il governo e allarmato il Parlamento.

«Abbiamo fatto squadra» si è compliment­ato il premier, il quale grazie alla manovra e ai tre ministri senza colore politico è riuscito a ritagliars­i una centralità che, a dispetto del ruolo, non aveva. L’idea dei due vice di affidare al capo del governo, nero su bianco, il compito di trattare, si è rivelata salvifica. Se mai Di Maio e Salvini abbiano pensato di fare dell’«avvocato del popolo» Giuseppe Conte il capro espiatorio in caso di fallimento delle trattative, ora si ritrovano un premier che ha dato prova di saper guidare la nave. E che, se pure non ha in mente di costruirsi un futuro politico in totale autonomia, di certo tiene molto alla rete di rapporti internazio­nali che ha costruito nel corso del negoziato. «Sono sempre Salvini e Di Maio a detenere il potere», assicura un ministro. Ma intanto Casalino si gode il momento di gloria: «Conte? È uno statista».

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