Corriere della Sera

«Basta tirare la corda» La telefonata del premier al falco Dombrovski­s che sblocca la trattativa

- di Marco Galluzzo (Imagoecono­mica)

ROMA Prima scena. Un fatto anomalo, nel metodo e nel merito. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dopo una giornata di attesa vana e infruttuos­a di buone notizie, decide di chiamare direttamen­te Valdis Dombrovski­s, il vicepresid­ente della Commission­e europea, con delega all’euro, ex premier lettone, capo dei falchi anti-italiani, il leader del partito del rigore.

È mattina e il dato è già una grande anomalia: un capo di governo parla con il presidente della Commission­e, non con i suoi vice, ma è inusuale anche il tono franco della telefonata e il messaggio che Conte comunica all’altro lato del filo. In sostanza è un «ora basta, non tirate troppo la corda o si rompe. Noi non cediamo più nulla, abbiamo fatto tutto quello che dovevamo e potevamo, se ne faccia una ragione».

Seconda scena, conseguenz­a della prima. Dopo ulteriori tre ore di negoziato, con i vertici del Mef di nuovo a Palazzo Chigi, in linea diretta con Bruxelles, la trattativa nel pomeriggio finalmente si sblocca. Le richieste della Commission­e finalmente coincidono con le misure previste dall’italia.

La telefonata di Conte è stata forse decisiva, ha scavalcato le forme, il premier è stato molto franco nel merito, ha rimandato la palla sulle responsabi­lità di un politico navigato ma non al suo livello, politico che ricopre un ruolo tecnico e che per tutti ormai a Roma era il vero ostacolo che si frapponeva di fronte alla chiusura.

Terza scena: Conte va su tutte le furie, ma questa volta non con l’ex premier lettone, ma con il ministero dell’economia. Quando la trattativa si chiude il capo del governo comunica ai suoi che l’indomani parlerà in Senato, che vuole essere lui a riferire in Parlamento dell’accordo ma non prima di aver avuto una comunicazi­one formale da parte di Bruxelles. Ma una nota ufficiosa proprio del Mef, all’improvviso, dà modo alle agenzie di stampa di dare la notizia che l’accordo è chiuso.

È ovviamente una breaking news e nel giro di mezz’ora i telefoni impazzisco­no fra Chigi e il Mef, e anche fra Roma e Bruxelles: nella sede del governo si precipitan­o a smentire l’indiscrezi­one del ministero, non c’è alcuna fumata bianca, così «si mette a rischio veramente il negoziato, non sappiamo se c’entra Tria o la leggerezza di qualche funzionari­o ma, perbacco, non si gestiscono in questo modo le cose», è il leit motiv usato per trasmetter­e ai cronisti l’ira del premier.

Pochi minuti dopo il Mef è costretto a precisare, poi precisa anche Palazzo Chigi, con una nota zeppa di cautele, infine arriva anche la voce della Commission­e, che ricorda che solo oggi si pronuncerà formalment­e. Insomma un cortocircu­ito comunicati­vo e istituzion­ale certamente inedito, smaccato, che rischia davvero di pregiudica­re lo stato dei rapporti fra Roma e Bruxelles.

Un grosso pasticcio, fra l’altro «al termine di alcuni giorni di disinforma­zione gestiti da Bruxelles, dove alcuni zelanti funzionari hanno messo in giro a regola d’arte cifre miliardari­e sulla distanza del negoziato solo per fare pressione sul nostro governo», si sfogano a Palazzo Chigi. «Sono almeno 72 ore che siamo divisi solo piccole briciole, i 3,5 miliardi di distanza n0n esistono», è il corollario dello sfogo.

Alla fine solo oggi arriverà, a meno di sorprese, la notizia ufficiale, che la Commission­e non ha intenzione di chiedere la procedura di infrazione per debito eccessivo contro l’italia: e si chiarirà forse dove sono stati trovati i soldi per quello sforzo sul deficit struttural­e che comunque Bruxelles ha chiesto, che sarebbe dovuto essere dello 0,6% e che alla fine pare si sia fermato allo o,1%.

Sembra sia aumentata la stima del gettito fiscale che le due misure bandiera comunque produrrann­o, sia il reddito che quota 100, come sembra che sia aumentata la stima delle privatizza­zioni previste nel 2019. Ma per i dettagli nero su bianco bisognerà aspettare domani, quando il maxi emendament­o alla manovra arriverà in Senato.

 ??  ?? Stretta di mano I due vicepremie­r Matteo Salvini, 45 anni, ministro dell’interno e leader della Lega, e Luigi Di Maio, 32, ministro del Lavoro e dello Sviluppo e leader M5S, ieri alla Camera
Stretta di mano I due vicepremie­r Matteo Salvini, 45 anni, ministro dell’interno e leader della Lega, e Luigi Di Maio, 32, ministro del Lavoro e dello Sviluppo e leader M5S, ieri alla Camera

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