Il sogno di Bucci: «Vorrei la Gronda firmata Calatrava Ho ripetuto a tutti di fare in fretta»
Il sindaco: ho scelto da manager, qui è in gioco la credibilità del Paese
«Io sono un manager e quindi ho scelto una soluzione manageriale».
Marco Bucci sostiene di aver fatto la sua personale valutazione costi-benefici, termine che di questi tempi è di moda. «Credo che in questa fase mi aiuti molto il fatto di essere un impolitico. La gente capisce che ragiono nell’interesse esclusivo della città, senza secondi fini».
Il contrasto tra la facciata maestosa di palazzo Tursi e gli uffici al suo interno, tutti plastica e luci al neon, è netto. Così come appare evidente quello tra le frasi perentorie e la stanchezza del sindacocommissario. L’ex dirigente di svariate multinazionali americane ha imparato in fretta l’usanza nostrana del dire e non dire, magari ammiccando all’interlocutore. «Il nuovo viadotto costerà trecento milioni, ma a Genova al momento abbiamo investimenti per quattordici miliardi. Ad esempio, a me piacerebbe molto che il ponte della Gronda fosse firmato da un altro progettista di fama mondiale, tipo Santiago Calatrava...». Scusi sindaco, ne avete parlato, con l’archistar spagnola e Cimolai, il committente italiano uscito con le mani vuote dalla competizione per il rifacimento del Morandi? Un sorriso sornione. «Questo lo dice lei, io non posso dirlo».
Bucci ha una propensione molto americana alle risposte nette, talvolta persino sincere. Ma al momento bisogna accontentarsi di verità parziali, per carità di patria. E così si apprende che in gergo manageriale, fare una sfuriata ai vertici attoniti di Salini-impregilo sui tempi della ricostruzione, come avvenuto poche settimane fa durante un incontro a Roma, diventa una frase del genere. «Diciamo che ho fatto presente con una certa forza che la città ha bisogno di fare in fretta, e che se ci tenevano a ottenere il lavoro, questa era la mia priorità. Loro si sono detti disponibili, adesso vedremo i fatti».
La prima fase è andata. Non tutto è scivolato sul velluto, anzi. Bucci riconosce di avere avuto un forte argomento
dalla sua parte, e di averlo usato senza problemi con gli interlocutori che gli si paravano davanti. «Questa tragedia, purtroppo, ci ha reso visibili al mondo. Tutti guardano alla ricostruzione del ponte. Noi siamo sotto un fascio di luce permanente. Se faremo le cose bene e nei tempi previsti, l’italia potrà recuperare un pezzo importante di credibilità. Non credo che ci sia nessuno disposto a nuocere agli interessi dell’intero Paese». L’avviso ai naviganti, vincitori o sconfitti che siano, è chiaro.
Il sindaco si rigira tra le mani la lettera che gli è giunta via mail da Cimolai. «Non è vero che il mio metodo del cherry picking, l’unione delle forze e delle parti migliori dei progetti, è stato sconfessato. Nessuno mi ha imposto nulla. Per la demolizione sono riuscito a unire due cordate, escludendo soltanto un’azienda che aveva pretese molto, troppo alte. So bene che Cimolai, un colosso del settore, è un po’ delusa. Anche per questo mi fa enorme piacere la sua disponibilità ad aiutarci in qualsiasi momento. Io ne ho bisogno. E sapere che quando ne avremo la necessità loro saranno disponibili mi rende più fiducioso».
Ci saranno altri momenti difficili. La grande paura ha un nome molto burocratico, i cosiddetti sotto-servizi. «Quando cominceranno i lavori, sarà dura. La posa delle nuove pile creerà altri disagi. Dovremo fare in modo che la viabilità non venga ulteriormente danneggiata. Quelli saranno i mesi decisivi. Perché poi, quando il nuovo ponte comincerà a vedersi, i genovesi si sentiranno rassicurati».
Bussano alla porta. Il colloquio è finito. Il commissario ridiventa sindaco. Sta per cominciare la riunione di giunta.