Saipem Algeria «Scaroni non sapeva delle tangenti»
Le condanne La società e i suoi manager condannati per i 197 milioni al segretario del ministro
L’allora amministratore delegato di Saipem, Pietro Tali, con il suo ruolo nei 197 milioni di dollari di tangenti pagate fino al 2011 da Saipem a politici algerini come «consulenze» per propiziare alla società di ingegneristica controllata da Eni commesse per 8 miliardi di dollari, processualmente «non è sufficiente a fare da cerniera» tra queste tangenti Saipem in Algeria e «un unico patto corruttivo (non delineato con sufficiente sicurezza dall’istruttoria») di Eni e del suo ex n.1 Paolo Scaroni per l’acquisizione nel 2008 della società canadese «FCP» appetita per alcuni preziosi diritti di sfruttamento in Algeria. È per questa diversità di prove che ieri, in 190 pagine di motivazione, le tre giudici milanesi Turri-ambrosino-filiciotto spiegano di avere, il 19 settembre, da un lato assolto (in parte «perché il fatto non sussiste» e in parte «per non aver commesso il fatto») Scaroni e l’allora responsabile Eni in Nord Africa, Antonio Vella; e, dall’altro, di aver invece condannato Tali a 4 anni e 9 mesi, la persona giuridica Saipem a 400.000 euro di sanzione pecuniaria e alla confisca di 197 milioni, il direttore finanziario (poi pure di Eni) Alessandro Bernini (4 anni e 1 mese), il direttore operativo Pietro Varone (4 anni e 9 mesi), nonché il latitante a Dubai Farid Bedjaoui (5 anni e 5 mesi), segretario del ministro algerino dell’energia Chakib Khelil e titolare della società «Pearl Partners» beneficiata dai 197 milioni di Saipem. Per il Tribunale, «Tali e Khelil hanno trattato in posizione paritetica la dazione delle tangenti concordate nel 3% delle commesse aggiudicate a Saipem»: ma «il contributo di Tali» nell’ «organizzare gli incontri riservati tra Scaroni e Khelil, il più delle volte preceduti da riunioni preliminari con Bedjaoui», e giudicati irrituali anche da testi top manager Eni come Claudio Descalzi o Stefano Cao, «non è sufficiente a provare che il vertice di Eni avesse quantomeno consapevolezza e avesse dato il proprio assenso all’accordo corruttivo intercorso tra Saipem (controllata da Eni, ndr) e Khelil. Né la relazione di controllante/controllata tra Eni e Saipem può determinare una estensione alla controllante della responsabilità dipendente dal reato della controllata».