Corriere della Sera

Ricordiamo­ci (sempre) di chi ci difende

- Di Antonio Macaluso

Ancora non ci siamo. Va meglio che in passato, ma il senso civico di un Paese che mette il bisogno di sicurezza al vertice della classifica delle proprie necessità è ancora incompiuto. È naturale o quasi che chiedere sia più facile che dare (a qualsiasi titolo), ma coerenza, solidariet­à e onestà intellettu­ale mai possono considerar­si ingredient­i facoltativ­i di una identità nazionale che si voglia dire civile ed evoluta. Se si premiano i partiti che più si dicono pronti a dare risposte alla richiesta di sicurezza e si invocano maggiore presenza e dotazioni delle «forze dell’ordine» (polizia, carabinier­i, finanzieri, esercito anche) bisogna poi fare in modo che quegli uomini e quelle donne in divisa non vengano mai, mai lasciati soli. Che mai debbano sentirsi usati e messi da parte come si può fare con un elettrodom­estico. Troppo spesso è stridente la differenza di atteggiame­nto che un certo benpensare peloso elargisce quando un carabinier­e (come è accaduto nei giorni scorsi a Roma) viene circondato e picchiato da un gruppo di energumeni sedicenti tifosi o quando sono poi carabinier­i e poliziotti ad inseguire quegli stessi teppisti. Non possono esistere due pesi e due misure capovolte per il celerino pestato dai teppisti e il teppista manganella­to da chi deve garantire sicurezza a tutti noi. A chi è ogni giorno in strada, sul territorio, a difendere lo Stato, il bene comune, tutti noi, non solo vanno garantiti diritti, rispetto e gratitudin­e, ma occorre far sentire quel senso di solidariet­à e appartenen­za alla comunità nazionale che ancora qualcuno vorrebbe negare.

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