«La legge Dignità sta colpendo l’occupazione: cambiamola»
L’appello di Malacrida (Adecco)
Il diavolo si cela nelle statistiche. Almeno così la pensa Andrea Malacrida, amministratore delegato nel nostro Paese della multinazionale svizzera The Adecco Group. «Dai dati riassuntivi delle nostre attività si vede che tra settembre, ottobre e novembre ci sono state 20 mila assunzioni in meno rispetto allo stesso periodo del ’17. In parallelo le cessazioni sono state 22 mila in meno. A prima vista il saldo risulterebbe positivo». E invece? «Si tratta di un periodo anomalo perché somma due mesi regolati dalla vecchia legislazione e uno, novembre, dalla nuova legge Dignità. Le cessazioni in meno sono per più della metà proroghe dei contratti a termine con la vecchia legge e solo per 8 mila casi si tratta di stabilizzazioni, che non potranno essere replicate in eterno».
Quindi il dato positivo delle minori cessazioni è una sorta di una tantum mentre le 20 mila assunzioni che mancano rischiano di ripetersi?
«Esattamente così. Le aziende hanno colto i vantaggi della transizione, ma a regime hanno enormi perplessità sull’irrigidimento delle causali. E i primi numeri lo dimostrano. Se Adecco Italia registra 20 mila assunzioni in
meno, è facile pensare che l’intero sistema delle agenzie private ne avrà registrate 100 mila in meno. A fine dicembre avremo i nuovi dati e mi aspetto come minimo un replay di novembre, altri 20 mila in meno. Aggiungo che da gennaio faremo i conti con i timori di una nuova recessione e quindi i numeri con tutta probabilità peggioreranno.
Come evitare questa ecatombe?
«Introducendo modifiche alla legge Dignità in corsa: abbiamo già offerto la nostra disponibilità al dialogo al governo. Per quel poco che riusciamo a parlare con il sottosegretario Claudio Durigon, noi lo stiamo dicendo. Non si possono richiedere contemporaneamente tre causali: temporaneità, significatività e non programmabilità, per autorizzare un contratto a termine. Vuol dire che un imprenditore doveva inizialmente pensare di non averne bisogno, poi invece ne ha bisogno massicciamente e a quel punto può usare il nuovo assunto solo per 12 mesi. È un rompicapo che genera contenzioso giudiziario a manetta. Quindi bisognerebbe tagliare una o due delle caratteristiche richieste».
Questo è il primo ritocco, gli altri?
«Bisogna modificare il cosiddetto contatore. Un ragazzo avvicinandosi ai 24 mesi si porta dietro come un fardello i rinnovi di contratti che ha avuto e i conseguenti incrementi di costo del lavoro. Lo 0,5% in più diventa una tassa che complica la vita alle aziende e al lavoratore. Lui viene sostituito con un altro e le competenze che ha accumulato vanno a farsi benedire. Non è un danno solo per l’impresa, che sostituisce lavoratori competenti e formati con nuovi da formare, ma anche per i lavoratori stessi che perdono in occupabilità. Così non si crea dignità ma ulteriore precarietà. La verità è che il mercato richiede flessibilità e la politica offre rigidità, risultato: andremo a sbattere contro il muro.
È difficile che il governo torni indietro su una misura-bandiera del cambiamento.
«Non ne facciamo una questione ideologica. Se i numeri dimostrano che non funziona è saggio cambiare. Non conviene a nessuno insistere».
Il ministro Di Maio non sembra avere però grande considerazione di voi, vi ha assimilato ai caporali.
«Non ho voglia di polemiche sterili. Desideriamo invitare il ministro a conoscerci meglio, per noi il dialogo deve essere aperto e costruttivo. Ma intanto si leggano i dati, li si interpretino e si cambino le norme».
Sarete coinvolti nella gestione del reddito di cittadinanza?
«Non so darle una risposta precisa. Qualche sondaggio c’è stato ma ho l’impressione che conoscano poco quanto abbiamo fatto in Italia in questi 20 anni. Le nostre agenzie sul territorio, oltre 300, funzionano, i Centri per l’impiego no e i numeri lo testimoniano. Nella formazione continua per dare continuità lavorativa alle persone negli ultimi tre anni abbiamo assunto oltre 10 mila persone a tempo indeterminato».