L’indennità di 21 milioni in 3 anni che fa litigare Mef e Corte dei Conti
Ventuno milioni di euro, sette all’anno, per tre anni: è la cifra che incasseranno 1.750 dipendenti degli uffici centrali del Mef, in aggiunta allo stipendio. Lo prevede un decreto firmato dal ministro dell’economia Giovanni Tria, con cui si assegna quella che in gergo è chiamata «prelex»: un’indennità in più, concessa in cambio della cosiddetta attività prelegislativa, cioè il lavoro di supporto al governo nella stesura delle norme e nella verifica della loro copertura economicofinanziaria. Attività particolarmente intensa proprio nei giorni della manovra. Ma su quel decreto si era già espressa, a luglio, la Corte dei Conti, dando parere contrario: la permanenza in ufficio oltre l’orario standard di lavoro viene già retribuita con gli straordinari, aveva messo nero su bianco il magistrato istruttore Oriana Calabresi, specificando anche che la cifra di sette milioni all’anno, indicata dal comma 685 dell’art.1 della legge di bilancio 2018, costituisce «un limite di spesa» e non implica che le risorse debbano «necessariamente essere utilizzate per intero». Infine, la Corte chiedeva «un controllo ex post sull’effettivo svolgimento delle prestazioni» come «presupposto indispensabile» per la legittimità del decreto ministeriale. Ora quel testo, in una versione modificata solo per soddisfare quest’ultimo punto, è stato firmato ed è di nuovo al vaglio della Corte. Con l’ulteriore paradosso di aver generato malcontento anche tra gli stessi dipendenti del Mef perché, spiega Americo Fimiani della Cgil Funzione pubblica, «i dipendenti che da declaratoria fanno attività prelegislativa sono 200. Qui siamo di fronte a una indennità specifica attribuita attraverso una norma solo ad alcuni lavoratori, creando una disparità di trattamento tra persone che lavorano spesso anche negli stessi uffici: con quali criteri sono stati scelti i destinatari?»