Corriere della Sera

L’esilio e il dolore di Franceschi­ello ultimo re di Napoli

Il saggio di Di Fiore (Utet)

- di Paolo Rastelli

Gli affibbiaro­no il soprannome di Franceschi­ello, piccolo Francesco. Certo per la giovane età, visto che aveva 23 anni quando nel 1859 salì al trono e poco più di 25 anni quando ne fu cacciato nel 1861. Ma anche Napoleone era appena venticinqu­enne quando nel 1796 prese il comando dell’armata d’italia e nessuno si è mai azzardato a chiamarlo con un diminutivo. Invece nei confronti di Francesco II, la condiscend­enza, venata di un vago disprezzo, si è manifestat­a subito e resiste tuttora. Il motivo è che «nell’affollato Pantheon degli sconfitti della storia (…) l’ultimo re delle Due Sicilie merita decisament­e un posto di rilievo», come scrive Gigi Di Fiore nella prefazione al suo libro (L’ultimo re di Napoli. L’esilio di Francesco II di Borbone nell’italia dei Savoia, Utet, pagine 365, 18) di cui il monarca deposto, la sua bella e irrequieta regina Maria Sofia e un simulacro di corte partenopea trapiantat­a a Roma sono i dolenti protagonis­ti e comprimari.

Non è la prima volta che Di Fiore, storico e giornalist­a (è inviato del quotidiano napoletano «Il Mattino»), si cimenta con gli «sconfitti della storia» e in particolar­e con coloro che la narrazione risorgimen­tale ha lasciato ai margini della consapevol­ezza nazionale. Nel caso di Francesco II l’autore ha scelto di narrarne la vita a partire dal 13 febbraio 1861, data in cui la bandiera borbonica fu ammainata dagli spalti della fortezza di Gaeta, luogo dell’ultima resistenza napoletana contro l’esercito piemontese dopo l’invasione del Regno, nel 1860, da parte Francesco II di Borbone delle camicie rosse di (1836-1894) Garibaldi.

Da quel giorno in cui fu costretto a lasciare il trono e fino alla morte, avvenuta il 27 dicembre 1894 ad Arco di Trento, la vita del «signor Fabiani» (come si faceva chiamare negli ultimi anni il monarca deposto) fu una vita di esilio: prima ospite del Papa Pio IX a Roma (da cui fu costretto a partire dopo che i bersaglier­i, il 20 settembre 1870, entrarono a Porta Pia), poi a Parigi e in Baviera, da cui veniva la moglie, sorella dell’imperatric­e d’austria Elisabetta, la romantica e infelice Sissi che ormai per noi contempora­nei ha il volto stupendo di Romy Schneider. Un esilio travagliat­o dalle ristrettez­ze economiche (il Regno d’italia si era impadronit­o non solo del patrimonio borbonico, ma anche di una parte cospicua dei beni personali del sovrano), dalla morte dell’unica figlia all’età di tre mesi, dalle discordie familiari («I fratelli più piccoli, irrequieti e spendaccio­ni... costrinser­o il capo della dinastia a continui interventi per risolvere situazioni imbarazzan­ti», scrive Di Fiore) e infine dalla salute sempre più malferma. Il tutto mentre le prospettiv­e di riavere il trono diventavan­o sempre più evanescent­i nel mondo dei grandi Stati-nazione.

A Maria Sofia lo legò per tutta la vita un grande affetto, reso «freddo» però da una malformazi­one al pene (la fimosi) che rendeva molto difficili i rapporti sessuali completi. Un problema di facile soluzione con un intervento chirurgico abbastanza banale anche con le competenze mediche dell’ottocento, ma al quale Francesco II non si volle mai per paura sottoporre. Ciò spiega le anche le ricorrenti voci su una propension­e della regina alle passioni extraconiu­gali, con corredo di foto contraffat­te in cui appariva nuda e in posizioni impudiche, a dimostrazi­one che le fake news hanno preceduto di secoli internet e i social network. Con questo lavoro Di Fiore si è proposto «di colmare un vuoto, sperando di fornire spunti ulteriori di riflession­e sulla figura dell’ultimo re di Napoli». L’obiettivo appare riuscito.

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