Corriere della Sera

NON SI BUTTANO LE COPERTE DI UN BARBONE, E NON CE NE SI VANTA

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Caro Aldo, lo scandalo scatenato dal vicesindac­o di Trieste è stato interpreta­to come un atto di razzismo e di violenza nei confronti dell’uomo, della società, della civiltà. Dov’è il problema? Vi è mai capitato di chiamare un’ambulanza e sentirsi rifiutare il trasferime­nto in un posto più sicuro e al caldo? A me, sì! Giancarlo Toti Caro Giancarlo,

La storia di Trieste è stata commentata da decine di lettori, equamente divisi tra chi sosteneva le ragioni del vicesindac­o e chi difendeva il clochard. Il suo intervento fa riflettere. Quand’ero piccolo i clochard nelle nostre città erano pochi. Colpiva vederne molti di più a Parigi, dove rappresent­avano quasi una categoria sociale. Era un Paese più unito, le famiglie non si sfasciavan­o alla prima difficoltà, perdere la casa era più difficile, la solidariet­à era un valore più sentito. Fare il «barbone» era una scelta. Può darsi che lo sia ancora. Quello di Trieste pare avesse rifiutato il ricovero, come il «suo», caro Giancarlo. Personalme­nte credo che nessuno dovrebbe dormire per strada, a maggior ragione nelle notti sottozero delle città del Nord Italia. Un clochard a volte può essere molesto per il suo atteggiame­nto ma, diciamo la verità, più spesso ci disturba perché parla alla nostra cattiva coscienza, prigionier­a dell’egoismo e del narcisismo che sono un po’ il segno del tempo. In ogni caso, non si buttano via le coperte di un essere umano che dorme per strada d’inverno. Delle polemiche politiche non mi importa nulla. Se l’avessimo fatto, i nostri nonni contadini, che non erano affatto «di sinistra», ci avrebbero rimprovera­ti aspramente. Se l’avesse fatto un politico democristi­ano, uno di quelli che il comunismo l’hanno sconfitto davvero, sarebbe stato isolato dal suo partito. Quando De Gasperi vide a Matera i poveri dormire nei Sassi, oggi attrattiva turistica, pianse. È una cosa che non si fa; tanto meno ce ne si vanta. Bene ha fatto Claudio Magris, che senza scendere in polemica con il vicesindac­o della sua città ha ricordato la storia di san Martino, che divide il proprio mantello con il bisognoso. E bene ha fatto Paolo Conti a ricordare Nereo, il barbone veneto che passava le sue giornate a leggere appoggiato alle Mura Aureliane di Roma, ed è stato ucciso da un automobili­sta che non ha ritenuto di fermarsi. La colpa è del pirata e soltanto sua; ma la politica non può trasmetter­e l’idea che ci sono esseri umani che non meritano la nostra pietà.

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