L’ultima dimostrazione di understatement
Pare che le sue ultime parole siano state un avverbio: un «maluccio» che, detto a poche ore dalla sua morte, consegna o l’immagine di un uomo ignaro di essere vicino alla fine, per sua fortuna; o, se si vuole assecondare il mito, l’estremo regalo all’understatement da parte di Giulio Andreotti. Quel «maluccio» fu pronunciato la sera del 5 maggio 2013 nel letto della sua abitazione, sotto l’enorme crocifisso d’avorio che incombeva sopra la testiera: come dimensioni, più da altare che da camera. Il figlio Stefano, tifoso laziale, allora poco più che sessantenne, come ogni domenica tornando dalla partita era andato a trovare i genitori. La madre non riconosceva nessuno da tempo, minata dall’alzheimer. E il «babbo» da mesi faticava a respirare e si alzava sempre meno dal letto. Erano lui e la sorella Serena a seguirli, perché la primogenita Marilena si era trasferita a Torino, a lavorare per un’agenzia antidroga dell’onu, e il secondogenito Lamberto continuava a vivere tra Milano e New York, al vertice della sua carriera di manager della multinazionale Bristol.
Il dottor Riccardo Massimei, amico d’infanzia di Stefano, aveva avvertito da qualche giorno che le condizioni di salute di Andreotti stavano peggiorando e dunque bisognava prepararsi. Il medico sembrava fatto apposta per quella famiglia. Anche lui, come il senatore a vita, si alzava a ore antelucane. E andava a prendere la pressione e a controllare il suo illustre paziente e la consorte alle sei, sei e mezza del mattino, svegliando la filippina Gloria e il fratello che facevano da badanti. Ma si sapeva che soprattutto dopo le ultime crisi respiratorie il senatore a vita veniva assistito giorno e notte dagli infermieri dell’osa, gli Operatori sanitari associati, un’organizzazione assistenziale legata al gruppo cattolico di Comunione e liberazione. Se n’era accorto anche don Luigi Veturi, che lo era andato a trovare sabato 4 maggio per fargli fare la Comunione. L’aveva trovato affaticato e stanco. Col sacerdote, fu meno diplomatico che col figlio Stefano. «Presidente, come va?» gli chiese don
Veturi. «Come vuoi che vada… Vado incontro alla morte».