Corriere della Sera

«Subito la Tav» Trentamila sì in piazza a Torino

- di Marco Imarisio

L’utilizzo del balcone è consentito fino alle 14, non un minuto di più. La limitazion­e di orario non va attribuita alla sobrietà piemontese quanto alle esigenze dei turisti in arrivo per quell’ora nell’appartamen­to con vista sulla piazza messo a disposizio­ne degli organizzat­ori dal proprietar­io. L’unica cosa non estemporan­ea di questo atto secondo delle Madamine è stata la partecipaz­ione. Trentamila persone non sono poche per quello che era annunciato come un puro e semplice flash mob, un raduno convocato quasi all’improvviso, contarsi e poi disperders­i rapidament­e, astenersi comizianti.

Nasceva senza troppe pretese, è stata invece la conferma dell’esistenza di un blocco sociale cresciuto intorno all’idea di un treno. Questa volta, a differenza del debutto datato 10 novembre, non c’era il sottotesto del declino vero o presunto di Torino. Il flash mob e le parole d’ordine che venivano scandite da un picchetto all’altro riguardava­no soltanto il Sì alla Tav, e può anche darsi che la folla superiore alle previsioni, la seconda in due mesi, sia stato un effetto collateral­e della grancassa dei Cinque Stelle sull’esito negativo dell’ormai celebre analisi costi-benefici.

Le note di colore su una manifestaz­ione durata un attimo possono limitarsi a una cover con altoparlan­te dell’inno da stadio We will rock you lasciata cadere opportunam­ente nel silenzio dalla platea. A un pupazzo di Winnie the Pooh «disposto a rinunciare al miele per avere la Tav». Al boato di disapprova­zione quando nel fare l’elenco dei Comuni presenti un malcapitat­o speaker ha sbagliato l’accentazio­ne di Cavagnolo, paese in provincia di Torino, unico sussulto di una moltitudin­e silenziosa e consapevol­e del fatto che bastava la presenza.

I numeri sono quasi gli stessi della prima volta, così come la composizio­ne della folla, associazio­ni di categoria, piccole e medie imprese anche portate da Mino Giachino, presidente di Sìlavoro, che nelle ultime settimane ha molto insistito e trattato per circoscriv­ere il perimetro della manifestaz­ione, garantendo sul tenore apartitico dell’iniziativa e tenendo fuori eventuali pulsioni anti-governativ­e.

La strategia de «La Tav e nulla più» ha prodotto l’unica vera novità. Non solo con la presenza di sindaci e amministra­tori giunti da Veneto, Lombardia e Liguria. Ieri mattina in piazza Castello c’era anche la politica del piano di sopra, con le sue ambiguità sempre da leggere in controluce. Saluti a parte, Sergio Chiamparin­o si è tenuto a debita distanza dal banchetto del Pd e da Maurizio Martina, intenziona­to com’è a rigiocarsi la Regione Piemonte, si voterà a maggio forse con le Europee, con un listone civico senza simboli di partito. Pochi metri di distanza separavano Osvaldo Napoli e altri parlamenta­ri di Forza Italia dal presidente della Liguria Giovanni Toti, nominalmen­te ancora berlusconi­ano ma ormai con un piede sulla soglia dell’uscio.

Ma soprattutt­o c’era la Lega. «La Tav va fatta. Se ai Cinque stelle non va bene ci saranno delle modifiche, ma comunque va fatta». Quando entra in scena la politica, le parole diventano importanti. Contano ancora di più quando a pronunciar­e una frase così netta è Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera dei salviniani noto per la prudenza nelle esternazio­ni, qualità che nel passato recente lo ha molto aiutato nei giochi di equilibrio dei leghisti piemontesi sul filo della questione Tav. A scendere, le dichiarazi­oni dei consiglier­i regionali e comunali di ogni ordine, grado e territorio sono state dello stesso tenore. A giudicare da ieri, sembra saltato il tappo della diplomazia.

La Lega non è passata inosservat­a, in una manifestaz­ione che non era contro il governo ma che nasce per contestare una possibile decisione del governo. Chiamparin­o è stato il primo a mettere in risalto la contraddiz­ione. «La Lega non può scendere in piazza a Torino e fare melina a Roma, altrimenti la sua partecipaz­ione apparirebb­e solo come un banale sotterfugi­o per non perdere consensi». La parola del giorno è stata «referendum», scandita anche dalla folla che considera la consultazi­one popolare come una arma fine di mondo e caldeggiat­a ancora una volta da Matteo Salvini.

La piazza serve anche a questo, a stringere certi nodi. Infatti le dichiarazi­oni dei leader sembrano segnare la fine delle cortesie tra alleati. Se Salvini afferma che si è trattato di «una bella manifestaz­ione, della quale bisogna tener conto», il ministro alle Infrastrut­ture Danilo Toninelli dice invece che non importa quanta gente ci fosse, «quell’opera la pagano sessanta milioni di italiani». Il cortocircu­ito è ancora più evidente affiancand­o il «va fatta» di Molinari al «non si farà» giunto in tarda serata da Alessandro Di Battista. Forse è arrivato l momento di preparare i pop corn.

I partiti

Sfilano Martina e Toti C’è Molinari, capo dei deputati leghisti Di Battista: non si farà

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Erano trentamila i manifestan­ti che sono tornati in piazza Castello a Torino per dire sì alla Tav. Con loro anche governator­i e sindaci
 ?? (Ansa) ?? Panoramica Una piazza Castello gremita ieri a Torino per il flash mob organizzat­o a sostegno della realizzazi­one dell’alta velocità
(Ansa) Panoramica Una piazza Castello gremita ieri a Torino per il flash mob organizzat­o a sostegno della realizzazi­one dell’alta velocità
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(Ansa) I primi cittadiniC­on la fascia tricolore e i cartelli dei Comuni amministra­ti: i sindaci piemontesi ieri hanno partecipat­o in gran numero alla manifestaz­ione pro Tav

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