«Il nostro lavoro non sia usato come arma»
Caro direttore, le polemiche sorte attorno all’analisi costi-benefici (Abc) delle cosidette grandi opere, quando non sono espressione di interessi poco trasparenti, nascono tutte condizionate da un potente fraintendimento.
L’esito della valutazione è stato infatti inteso come un giudizio ultimo che costringe coloro che non ne gradiscono gli esiti a mettere in discussione la validità stessa di un metodo di valutazione che, invece, è ben scientificamente fondato e solidamente formalizzato.
Questo significa non aver compreso il significato dell’analisi, che è quello di misurare nel modo più rigoroso e trasparente possibile l’effetto di un investimento pubblico sul livello di benessere sociale, calcolandone la composizione, le dimensioni e la distribuzione tra i diversi soggetti coinvolti: utenti, gestori delle reti, fornitori di servizi, Stato, ecosistema.
Nessun esito obbligato dunque, ma soltanto conoscenza di cosa comporta la decisione del fare, del non fare o del fare altro rispetto agli aspetti che l’analisi considera e, quindi, aiuto indispensabile per prendere decisioni informate e consapevoli.
È stato molto citato, a (s)proposito della Torino Lione, l’esempio di Cavour che, con l’acb, mai avrebbe fatto quello che ha fatto. L’acb, che è una analisi di tipo marginale e si muove quindi nell’intorno degli equilibri esistenti, si limita a misurare le conseguenze dirette e ragionevolmente certe degli interventi ipotizzati, e nulla dice rispetto ad altre opportunità che possono spingere a decidere altrimenti. Se però fossimo un paese maturo, il nostro lavoro sarebbe una base condivisa del confronto tra No Tav e Sì Tav, e non un’arma in dotazione a una delle due parti.