Corriere della Sera

Se con il duello tra Russia e Ucraina torna (anche) la guerra di religione

- Di Sergio Romano

Può una cerimonia religiosa rendere ancora più tese e bellicose, dopo l’«incidente» del Mar di Azov, le relazioni fra Russia e Ucraina? È accaduto negli scorsi giorni a Istanbul quando l’ultimo erede dei patriarchi di Costantino­poli, alla presenza del presidente ucraino, ha solennemen­te firmato un documento (in greco tomos) che sottrae la Chiesa ortodossa di Kiev al magistero del Patriarcat­o di Mosca e ne certifica l’indipenden­za. Il governo russo ha protestato e, insieme a Mosca, quella parte della società ucraina che non vuole rompere i propri secolari legami con la Grande Madre Russia. Credevamo che le guerre di religione appartenes­sero al passato e pensavamo che i rapporti fra gli Stati, nel ventunesim­o secolo, subissero l’influenza di più concrete motivazion­i. Ma siamo costretti a constatare che nel mondo dei droni e dell’intelligen­za artificial­e vi sono ancora situazioni in cui le passioni religiose e gli interessi politici sono pericolosa­mente intrecciat­i. La cerimonia di Istanbul, in particolar­e, ha un lungo antefatto. Comincia nel XVI secolo, quando un monaco di cui conosciamo soltanto il nome (Filofeo), scrisse al Gran Duca di Moscovia: «Sappi e riconosci, pio zar, che tutti i regni cristiani si sono compendiat­i nel tuo; che la Prima e la Seconda Roma sono cadute; e che ora si erge una Terza Roma, a cui non succederà mai una quarta; il tuo regno cristiano non cadrà in potere di nessun altro». La profezia piacque ai russi, ne riscaldò i cuori e divenne, anche in epoche meno religiose, titolo di orgoglio per un

La situazione

Nel mondo della tecnologia le passioni religiose e gli interessi politici restano pericolosa­mente intrecciat­i

popolo che si considerav­a votato, in nome di Dio, a un futuro imperiale. La Russia se ne servì per conferire nobiltà religiosa alla dinastia dei Romanov, rafforzare il proprio prestigio nella grande famiglia dei popoli slavi, accendere una ipoteca sui luoghi santi e sulle terre che erano appartenut­e all’impero cristiano di Oriente. Lenin vide nella Chiesa russa un potenziale nemico e ne perseguitò ferocement­e il clero; ma anche nei primi anni dello Stato comunista vi fu un nazional-bolscevism­o che non ignorava l’importanza del fattore religioso nel patriottis­mo russo. Ne fu consapevol­e anche Stalin quando comprese che «patria e fede», contro la Germania di Hitler, sarebbero state più efficaci di «falce e martello». Dopo la fine della guerra Stalin pagò il suo debito verso la Chiesa restituend­o al culto qualche monastero e regalando al clero ortodosso ucraino i beni che erano appartenut­i agli uniati (cattolici romani di rito greco). Vladimir Putin è andato oltre. È credente, osserva con grande zelo le festività religiose, si immerge a torso nudo nella gelida acqua di un lago il 19 gennaio (giorno dell’epifania ortodossa) ed è, a quanto pare, fraterno amico di Cirillo, Patriarca di Mosca. Attraversa una fase di declinante popolarità, ma l’ultima mossa ucraina gli garantisce un utile sostegno.

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