Eleganza giovane Il sogno che ritorna
Dolce e Gabbana aggiornano i canoni di un «bel vestire» che non ha tempo, né età
Riaggiornare l’immaginario dell’eleganza, o meglio di quello che ricorda il solo pronunciare la parola. «Fa subito “vecchio”? Ma non è giusto», scherzano i Dolce & Gabbana. «Ma noi a questo stereotipo diciamo no. Perché L’E-L-E-G-A-NZ-A non ha tempo né età. È e basta. E lo dimostreremo». E quando i due si mettono in testa una cosa, non c’è verso. Al Metropol va così in scena una nuova lezione, dove passato e presente dialogano a colpi di stile e ironia. Un vecchio filmato degli anni Cinquanta ispira scenografia a coreografia e la sala si trasforma in un suntuoso salone con tanto di presentatore (mister Derek Allend) a spiegare «Il dream of elegance»: partendo da Michelangelo e arrivando alla sensualità del nero, alla purezza del bianco, agli imperatori, al Gattopardo, al culto della Madonna. E il download dell’eleganza si aggiorna nel corso di venti minuti e 127 modelli fra completi di broccato o velluto, vestaglie di seta a stampa penne, cappotti di tweed, pullover di alpaca, marsine ricamate, babbucce di cristallo, sneaker. Una giacca è una giacca e un paletot un paletot, oggi come negli anni Cinquanta il vocabolario non cambia, ma pesi e misure (tessuti e proporzioni) vestono gli uomini nuovi (più slim e tonici) e poi concessioni varie (la tennis sotto il completo informale) lo rendono decisamente comprensibile nell’era di grazia 2019.
Riflessioni sull’uomo che sarà. Donatella Versace si interroga sulla mascolinità. E lo fa partendo dal presupposto che indietro non si torna e che convenzioni e stereotipi sono superati. Cosa di meglio allora di una tabula rasa, avendone coscienza, sulla quale provare a incidere qualcosa di nuovo? «Negli anni 90 c’era un’idea precisa di come un uomo doveva vestirsi e comportarsi. Nel nuovo millennio tutto questo è stato travolto», in- dubbiamente. E allora? «Osare» è la risposta. La conversazione comincia da qui. E dall’equazione che libertà è uguale a personalità. Ognuno segua sé stesso. Dalla moda Versace i suggerimenti: abiti sartoriali tempestati di spille da balia, completi i Principe di Galles con il vezzo di volant in marabù colorato, pantaloni di plastica trasparenti, camicie di seta a stampa bondage di cuoio, maglie contaminate dal pizzo e camicie precise su sensuali boxer ricamati. Il fatto è che nessuno vuole vedere l’elefante (alias problemi? corruzione? intolleranza? stereotipi?) che sta seduto nei salotti di casa, nelle stanze
del potere, nei cda. Eccetto i ragazzi della tribù di Marni e di Francesco Risso, gli A-typical kids, che non solo vedono l’elefante, invadente e ingombrante, ma lo affrontano deridendolo con la ferocia (spietata) della gioventù e decidendo che le convenzioni e i pregiudizi si sconfiggono con completi di fustagno 3D, pantaloni a zampa con il pullover over infilato nella cinta, cappotti bouclé ingigantiti, parka ribelli, gessati disallineati, e una moltitudine di maglie di mohair.
Evolution è la parola nuova di Les Hommes. Ibrido è quella di conseguenza perché dna e mutamento si fondono e creano: il nero di famiglia allora e i colori del Tibet e i millennial che avanzano. Pullover come mantra, trattati e lavorati, e poi pezzi tecnici (giubbotti, parka, giacche a vento) e accesi sotto a cappotti rigorosi e pantaloni quasi ski.
Neil Barrett festeggia i suoi primi vent’anni. La festa non è (ancora) qui ma i remember sono cominciati: lo stile del designer belga «naturalizzato» Milano è più forte e chiaro che mai (quel minimal urbano e sportivo, pulito ed essenziale) «disturbato» dalle mille luci di ogni grande metropoli che si dica tale (Tokyo, New York, Londra, Milano) stampate ovunque. Interferenze da altri mondi. Ancora. La moda attrae, affascina, intriga. Poi c’è chi si perde e chi convince. È il caso di Dorian Tarantini, che era lo storico Dj e direttore creativo del Plastic, discoteca milanese cult e diversa, che con la sua M1992 fa capire di esserci e di raccontare una gran bella storia di sartorialità, di clubbing, di avanguardia. Il clan di questo italiano, ligure di Sanremo, è per giovani uomini e donne che «usano» il lusso (i materiali) e il tailoring (giacche, blazer e bomber precisi, gonne e abiti impeccabili) per contaminarlo con il tecnico, lo sportswear, l’underground e il Britpop inglese. Bravo. Da Frankie Morello il nuovo corso avanza con tutte le buone intenzioni ma a parte qualche (buon) flash sul jeans è il caos.