Fusione e crediti dubbi Così Carige accelera sul calendario Bce
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Ufficialmente, c’è un anno di tempo per lavorare alla cessione dei crediti deteriorati e arrivare alla fusione con un istituto più grande: per Carige sono questi tecnicamente i tempi fissati dalla Bce nel «capital conservation plan» che la banca ha accettato dopo l’assemblea del 22 dicembre e prima del commissariamento del 2 gennaio. Ma in realtà si punta a fare più in fretta possibile, andando avanti nel frattempo nell’attività ordinaria grazie all’ombrello sulla liquidità fornito dal governo, che garantisce fino a 3 miliardi di nuove obbligazioni, per le quali sono già partiti i sondaggi per capire l’interesse degli investitori (banche e fondi d’investimento).
È sull’accelerazione dei tempi per la «soluzione privata» che i tre amministratori straordinari Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lener, stanno spingendo. Prima arriva l’acquirente, meglio è, perché risolverebbe il tema dell’aumento di capitale da 400 milioni, necessario per rispettare le richieste Bce ma saltato per l’astensione del primo socio, Malacalza Investimenti. Per Carige le indicazioni patrimoniali della Bce sul 2019 («esame Srep») attese per fine mese non dovrebbero generare sorprese, spiegano fonti al lavoro sul dossier: con il bond subordinato da 320 milioni sottoscritto dal Fondo Interbancario (nello Schema Volontario) la banca rispetta le richieste Bce per il 2018 ma non per il 2019, per le quali mancano appunto 80 milioni che Carige dovrebbe trovare sul mercato. A meno che non arrivi un soggetto acquirente: «In quel caso, l’aumento non servirà». Ma perché la fusione si materializzi, è necessario accelerare anche nella pulizia dai crediti deteriorati. L’alternativa è la nazionalizzazione attraverso la «ricapitalizzazione precauzionale» da richiedere alla Ue ma con esiti tutt’altro che certi.
Procedono dunque in parallelo i tavoli ai quali Innocenzi lavora, insieme con la trattativa — sottotraccia, ma intensa — sulla riduzione degli interessi sul bond subordinato dall’attuale 16% che costa 52 milioni l’anno, cifra insostenibile per Carige.
Nelle quattro pagine del «capital conservation plan» inviato dalla Bce il 18 dicembre vengono descritti i «colloqui preliminari» intrapresi da Carige con Sga, la bad bank pubblica del Tesoro (il dossier era battezzato «Project Sga», accanto al «Project Riviera», la cartolarizzazione di npl realizzata a dicembre per 964 milioni). Ora invece i commissari hanno annunciato una gara tra i principali operatori di npl italiani e internazionali, per valorizzare al massimo le cessioni contenendo l’erosione di capitale: «Vogliamo essere quanto più neutrali sui ratio patrimoniali», ha spiegato Innocenzi. Si punta a vendere almeno 1,5 miliardi di npl a valore lordo sui 2,8 miliardi totali, possibilmente entro la presentazione del piano industriale di fine febbraio, per andare sotto il 10% nel rapporto npl-impieghi dall’attuale 20% circa.
Alla ricerca dei possibili pretendenti alla fusione sta procedendo Ubs: il vero valore di Carige sta nel tesoretto di capitale inespresso, fino a 2 miliardi tra crediti fiscali (1 miliardo), adozione dei modelli interni di stima dei crediti (500 milioni) e minori aggravi discrezionali di capitale (i cosiddetti «add on»). Unicredit, data tra gli interessati, si attiene alla linea del ceo Jean Pierre Mustier: crescita organica fino a fine piano (nel 2019). Anche il ceo di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, in un’intervista al Messaggero, ha smorzato l’interesse.
Nel frattempo Innocenzi ha avviato sondaggi con gli investitori sul loro interesse a sottoscrivere bond Carige garantiti dallo Stato. La banca punta a un’emissione lunga, a 12 mesi, per dare maggiore stabilità al funding e quindi alla liquidità. Anche per questo motivo, spiegano fonti al lavoro sul dossier, l’ammontare del bond (fino a 3 miliardi) sarà in funzione della durata della garanzia, per la quale si attendono dal Tesoro i meccanismi attuativi, che potrebbero arrivare in settimana, secondo alcune indiscrezioni.