Pensioni, quota 100 e quei lunghi ritardi sul Tfr
Caro direttore, in attesa di conoscere nei dettagli il contenuto formale del decreto e sulla base delle indiscrezioni emerse, facciamo quattro conti su «pensioni a quota 100» e Tfr, perché sembrerebbe che i conteggi delle liquidazioni siano sfuggiti all’attenzione degli stessi sostenitori del provvedimento.
Il governo ha «stanziato» nella legge di bilancio 2019 circa 4 miliardi di euro che dovrebbero essere erogati agli aventi diritto a partire dal primo aprile prossimo. Ciò implica che a partire dal primo gennaio 2020 tale spesa sarà pari a 5,3 miliardi.
Se tali pensioni risulteranno mediamente pari al 70% dello stipendio, vuol dire che questo importo sostituirà un ammontare di stipendi pari 7,6 miliardi.
Questo è pertanto il totale di stipendi sul quale in ognuno degli anni trascorsi al lavoro è stato calcolato il Tfr, cioè la liquidazione che compete per un dodicesimo all’anno.
Va ricordato che il Tfr è «salario differito» e quindi è «proprietà» del lavoratore che ha diritto di riscuoterlo al momento del pensionamento. Se un lavoratore va in pensione a 62 anni, per fare «quota 100» deve aver lavorato 38 anni.
Ecco allora che sui 7,6 miliardi di stipendio che saranno sostituiti dalle nuove pensioni, il Tfr cumulato risulterà pari a circa 650 milioni l’anno che, moltiplicati per i 38 anni di lavoro, portano ad un Tfr totale pari a 24,7 miliardi.
Se i prossimi «quotacentisti» fossero per tre/quarti dipendenti privati, significa che l’inps pagherà loro la pensione dovuta e le aziende dovranno restituire ai loro lavoratori circa 18,5 miliardi di Tfr.
Il pagamento
Una liquidazione pagata dopo cinque anni prefigura una vera e propria «appropriazione indebita», anche se temporalmente definita
D’altro canto, se un quarto fossero dipendenti pubblici, significa che le pubbliche amministrazioni dovranno pagare, oltre alle pensioni, circa 6,2 miliardi di Tfr ai loro dipendenti «quotacentisti».
Sul settore privato il Tfr viene per legge regolarmente registrato in bilancio anno dopo anno. In tal caso si tratta quindi di un problema di «liquidità» per le stesse imprese.
Nel settore pubblico invece gli stipendi vengono ogni anno registrati al netto di tasse, contributi e Tfr. Queste voci vengono per memoria scritte su altri fogli di carta. E’ evidente che il Tfr delle pubbliche amministrazioni è un Debito Pubblico «differito» negli anni. Diventa vero Debito Pubblico solo al momento in cui la liquidazione viene pagata ai lavoratori.
Ecco allora che per il settore pubblico non si pone un semplice problema di liquidità, ma un più serio problema economicofinanziario in quanto emerge all’improvviso un Debito Pubblico, mai registrato nei bilanci della stessa Pubblica Amministrazione.
Da qui l’idea «bislacca» trapelata in questi giorni: i dipendenti pubblici «quotacentisti» avranno pagata la loro liquidazione «dopo cinque anni»!!!
Nel frattempo forse, se vogliono possono farsi dare un prestito dalle banche in attesa del pagamento di quanto dovuto dallo Stato.
Ora, la liquidazione che tutti gli italiani hanno riscosso negli oltre sessanta anni passati è sempre stata pagata con qualche mese di ritardo spesso maldestramente spiegato come fatto tecnico dovuto alla complessità dei calcoli.
Ma da qui dire che verrà pagato dopo cinque anni prefigura una vera e propria «appropriazione indebita», anche se temporalmente definita. Infatti, se lo Stato concede con un suo decreto il diritto ad andare in pensione non può disconoscere nello stesso decreto il diritto del lavoratore ad avere il salario differito in tempi «normali», cioè a vedersi pagata anche la liquidazione, il Tfr, il suo risparmio accumulato in decenni e decenni di lavoro.