Come prevenire gli effetti avversi dei farmaci
Allo studio algoritmi per calcolare la probabilità individuale di problemi. Ma già ora, facendosi aiutare dal medico, si può capire meglio il «bugiardino»
Aprire il bugiardino di un medicinale qualsiasi può far paura: l’elenco degli effetti collaterali sembra non finire mai e qualche volta ce ne sono di così terribili che viene quasi da chiedersi se sia proprio il caso di buttar giù la pillola. Così molti ricercatori stanno cercando metodi per prevedere gli eventi avversi prima ancora che compaiano, identificando i pazienti più a rischio con la massima precisione possibile: è molto complicato riuscirci, ma qualche indicazione pian piano comincia ad arrivare. È il caso di una ricerca pubblicata sul Journal of Gastroenterology, che grazie all’analisi di pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali, come il morbo di Crohn o la colite ulcerosa, ha dimostrato come la probabilità di effetti collaterali da tiopurine, farmaci ampiamente utilizzati in queste patologie, possa essere prevista con un semplice test del Dna: gli autori, analizzando oltre 2.600 casi, hanno verificato che il pericolo sale molto in presenza di una singola mutazione in un punto preciso della sequenza genetica di un enzima.
Il test per verificarlo è semplice e rapido, perciò i ricercatori sostengono che sia un metodo adeguato a identificare i pazienti che con maggior facilità andranno incontro a problemi durante la cura, come il calo drastico di globuli bianchi o la perdita dei capelli, per scegliere così un’alternativa più sicura.
Non è la prima volta che si cerca di individuare chi è più adatto a curarsi con un farmaco o l’altro: negli ultimi anni si sta puntando soprattutto su algoritmi capaci di prevedere effetti collaterali e possibili interazioni, in sostanza programmi in cui inserire caratteristiche del paziente e farmaci impiegati, così da avere un calcolo delle probabilità di guai.
In attesa che diventino di utilizzo comune, come ridurre il rischio di eventi avversi quando tocca prendere un farmaco? «Il primo passo è ovviamente del medico, che al momento della prescrizione deve valutare la tipologia di paziente individuando il prodotto più adatto per lui — risponde Achille Caputi, coordinatore della sezione di Farmacoepidemiologia, Farmacoeconomia e Farmacovigilanza della Società Italiana di Farmacologia — . Essenziale è chiedersi quali e quanti medicinali stia prendendo, perché all’aumentare dei principi attivi cresce il rischio di effetti collaterali e interazioni pericolose: questo è fondamentale soprattutto negli anziani, che molto spesso seguono poli-terapie». In questi casi la cura va periodicamente rivalutata e «limata», individuando le priorità su cui concentrarsi e togliendo i farmaci meno essenziali per ridurne il carico complessivo.
Anche i pazienti tuttavia possono fare la loro parte per diminuire la probabilità che qualcosa vada storto durante la cura, come sottolinea il farmacologo: «È essenziale, per esempio, riferire al medico tutto quello che si sta prendendo anche se non ci è stato prescritto: integratori, estratti di erbe, tisane, prodotti omeopatici e così via possono interagire con le terapie in atto, è perciò sempre necessaria una valutazione complessiva. Poi, è altrettanto importante seguire scrupolosamente le indicazioni date dal medico».
Come e quando prendere il farmaco, per quanto proseguire il trattamento, gli intervalli fra una somministrazione e l’altra sono tutti elementi fondamentali da conoscere e rispettare perché la cura funzioni e non dia problemi; è poi indispensabile anche sapere quali sono i «segnali» che potrebbero precedere la comparsa di eventi avversi, chiedendo sempre ulteriori informazioni al medico in caso di dubbi. Perché il primo baluardo contro gli effetti collaterali sarebbe proprio un buon rapporto fra il paziente e il curante, come sottolinea Caputi: «Se il medico prende tempo per spiegare al malato la terapia, il rischio di problemi diminuisce e si riduce anche la paura di fronte allo spauracchio del bugiardino. Troppo spesso capita che il paziente dopo aver letto gli effetti collaterali sul foglietto illustrativo sospenda la cura, soprattutto se il problema per cui usa il medicinale non dà sintomi evidenti o fastidiosi o è lontano nel tempo: tanti dopo un infarto, per esempio, abbandonano troppo presto la terapia anticoagulante con l’acido acetilsalicilico a bassa dose per il timore delle ulcere gastriche. Tutto questo non accadrebbe e l’aderenza alle cure aumenterebbe, a tutto vantaggio della loro efficacia, se il foglietto fosse letto assieme al medico al momento della prescrizione, per capire davvero le informazioni indispensabili di cui tenere conto».
Da soli, a casa, è difficile leggere a cuor leggero l’elenco degli eventi più o meno terribili che ci potrebbero capitare, interpretandone il reale grado di probabilità: alcuni sono molto rari, ma basta vederli scritti nero su bianco per credere che potrebbero riguardarci domani.
«Il bugiardino peraltro è diventato sempre più corposo perché negli anni si aggiungono nuove segnalazioni di eventi avversi che le aziende indicano per tutelarsi: se un problema è citato, qualunque responsabilità è scaricata sul paziente che “accetta” la terapia. In realtà il foglietto illustrativo dovrebbe essere invece scritto pensando al paziente finale medio, che non sempre ha le competenze sufficienti per capire; l’unico modo per non farsi prendere dal panico quindi è chiedere sempre delucidazioni al medico. Il bugiardino dovrebbe essere uno strumento informativo di cui discutere con lui, non una fonte di dati da valutare da soli» conclude Caputi.
Foglietti illustrativi Le informazioni vanno lette tenendo presente il significato delle segnalazioni