Corriere della Sera

Che coltiva basilico e rucola

Arrivato dall’ohio in una nave da crociera vive in una comunità di duemila uomini (e il doppio di orsi) a 20 gradi sotto zero

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termometro segna zero gradi, mentre in una tenda più piccola, riscaldata da una stufetta e riservata alle coltivazio­ni più sensibili, si sfiorano i 10 gradi: eppure tutti qui dentro sono a mezze maniche.

«Sono arrivato nel 2007 come cuoco su una nave da crociera, perché mi avevano proposto di passare un’estate alle Svalbard, dopo che già avevo fatto una stagione in Antartide», racconta Ben, che ha 40 anni e viene da Cleveland, Ohio. Lo chef, con una passione per il cibo ereditata da un parente italiano, come tiene a precisare, si però è fatto subito conoscere, e in poco tempo il direttore del più grande albergo dell’isola, il Radisson, gli ha offerto un impiego. Ben ha portato così a Longyearbe­an la moglie e i quattro figli, integrando­si in questa comunità popolata da 2 mila esseri umani e quasi il doppio di orsi, e abituandos­i a vivere al buio tra ottobre e febbraio, e con la luce perenne nel resto dell’anno. E nel 2015 ha avuto l’intuizione di lanciarsi in quest’avventura.

«La mia idea era di avviare una produzione di cibo fresco in un posto in cui viene importato tutto», continua. «Alle Svalbard tutto quello che mangiamo arriva in aereo o su nave dalla Norvegia. Ho dovuto importare anche il terreno, visto che qui ci sono solo rocce. E poi ho impiegato più di un anno per convincere le autorità a far entrare i vermi con cui produco i miei fertilizza­nti». Per motivi sanitari nell’arcipelago non può entrare nessun animale vivente.

Il sogno di Ben sarebbe quello di realizzare un modello di economia circolare, sfruttando gli scarti vegetali per produrre biogas con cui riscaldare le sue coltivazio­ni. Ma per ora è un’utopia, la sua serra produce solo pochi quintali di insalatine ed erbette fresche. I rifiuti però sono una realtà. E con il decollo del turismo — l’anno scorso sulle Svalbard si sono contate 120 mila presenze — sono diventati una montagna: 30 tonnellate di spazzatura, da rispedire in Norvegia via cargo.

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Al lavoro Benjamin Vidmar nel suo orto polare

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