LA DEMOCRAZIA NEI PARTITI E LE TANTE ESPULSIONI
Caro direttore, le recenti espulsioni di alcuni parlamentari nel M5s, sono passate senza suscitare particolari «indignazioni» da parte di chi ha sempre professato la libertà di opinioni all’interno dei partiti. Se questo fosse successo in altri partiti e soprattutto con altri leader, i soliti noti — giornalisti e democratici a giorni alterni — avrebbero detto sicuramente che quei partiti avevano dei «dittatori» come segretari di partito. Le forze politiche con il pensiero unico, che al loro interno non permettono il dissenso, possono essere considerate democratiche? Che ci sia la necessità di occuparsi del caso con maggiore attenzione? Sergio Guadagnolo I
Caro signor Guadagnolo, l tema della democrazia interna ai partiti è molto importante soprattutto nella tanto decantata era digitale della politica. Si è detto e scritto molto sulla partecipazione dei cittadini, sull’«uno vale uno», sull’avvento della democrazia diretta ma poi i partiti vengono guidati come caserme. Non si puniscono con l’espulsione solo comportamenti irregolari e illegali ma anche il dissenso e la minima deviazione dalle regole stabilite per tutti dai pochi che comandano davvero.
Nella scorsa legislatura dal M5S sono usciti tra espulsioni e abbandoni 40 eletti. In quella attuale 5 deputati e 3 senatori sono stati messi fuori subito dopo le elezioni e altri due senatori e 2 eurodeputati nei giorni scorsi.
Le motivazioni sono le più diverse e alcune giuste nel voler perseguire comportamenti inaccettabili. Ma in questi anni ci sono state espulsioni chiaramente politiche, come quella del sindaco di Parma Federico Pizzarotti, esclusioni per aver partecipato a una trasmissione tv o per aver contestato la linea politica.
Nel caso di Gregorio De Falco la ragione è stato il contrasto sul decreto sicurezza. Per un Movimento che predica l’avvento della democrazia diretta non è proprio il massimo.