Ecco perché si deve scrivere «sé stesso»
Nel supplemento le ragioni del linguista Giuseppe Antonelli. Intervista a Figalli, medaglia Fields
Si muove tra «diciannovismo» e «archisculture» il nuovo numero de «la Lettura», in edicola fino a sabato 19 gennaio. L’apertura è dedicata infatti ai tratti comuni del populismo di oggi e del clima italiano del 1919 (da qui il titolo su Il nuovo diciannovismo per l’articolo di Manlio Graziano che parte da un termine coniato da Pietro Nenni). Le archisculture sono invece quelle dei 9 Guggenheim (realizzati o progettati o aperti e poi chiusi), raccontati da Vincenzo Trione: l’occasione sono i 60 anni dall’inaugurazione della sede di New York progettata da Frank Lloyd Wright.
Poi un dilemma grammaticale: si scrive se stesso oppure sé stesso? Risponde con un suo articolo il linguista Giuseppe Antonelli, che spiega perché vada sempre utilizzata la grafia sé stesso, con l’accento acuto, e non se stesso.
Alessia Rastelli intervista Alessio Figalli, vincitore della Medaglia Fields, considerata il «Nobel della matematica». A «la Lettura» dice: «Scienziati, umanisti, giuristi, medici devono collaborare per un futuro migliore».
Severino Colombo dialoga con gli scrittori Sandrone Dazieri e Jeffery Deaver, due maestri che discutono del presente e del futuro di un genere intramontabile, il thriller. Concordano sul fatto che i protagonisti sono sempre dei perdenti, ma che i «perdenti sono comunque eroi». Infine, tre pagine sono dedicate a Jan Palach, il giovane che si diede fuoco a Praga 50 anni fa per protestare contro il regime comunista e ad altri 12 «Jan Palach» che nel blocco sovietico, prima e dopo di lui, adottarono la stessa forma di autoimmolazione.