Dossena d’arabia «Hanno passione e le loro regole»
«Devi adattarti, ma io ho buoni ricordi»
È stato il primo allenatore italiano a spingersi fino in Arabia Saudita nel 2001 e finora resta l’unico.
Beppe Dossena, se diciamo «Gedda» cosa sono le prime cose che le vengono in mente?
«Il caldo, i colori, gli odori. I centri sportivi all’avanguardia già allora. E un ambiente particolare in cui ti devi calare, con una certa capacità di adattamento. Perché non è sempre semplice».
Non lo fu nemmeno per lei?
«In realtà sì: non bevo, non fumo, ero lì con mia moglie e la famiglia al completo. Vivevamo a cinquanta chilometri da Gedda, che è una specie di Las Vegas. I figli andavano alla scuola internazionale. Abbiamo tutti un bel ricordo di quel periodo. Poi è chiaro che c’erano delle regole: mia moglie usciva velata, andava nelle banche o in altri negozi per sole donne. Quando entravamo al ristorante andavamo nella sezione per famiglie, mentre se mi recavo col mio staff, ci sedevamo nella zona per soli uomini».
Un po’ come allo stadio per Milan-juve?
«Sì, ma quella per le donne allo stadio è un’apertura recente e per loro storica. Non si può pretendere di ragionare con i nostri parametri».
Le polemiche che ci sono state in Italia attorno alla Supercoppa come le considera?
«Fuori tempo massimo, perché si sapeva da agosto di questa partita. E non hanno nemmeno ragione di essere perché per gli arabi questo comunque è un passo in avanti. Anzi, la partita mi sembra uno strumento utile per mostrarsi al mondo e muovere ulteriormente qualcosa nella loro società».
L’esperienza da allenatore come fu?
«Sono stato contattato da un appassionato di calcio italiano, dopo l’esperienza di Donadoni a fine carriera. Sono andato per curare l’accademia, ma poi il tecnico della prima squadra è stato allontanato e quindi sono subentrato, vincendo la Coppa nazionale. Per poi venire, a mia volta, esonerato. Facevo gli allenamenti alle 23 per evitare il grande caldo e in mesi come questi, quando alla sera la temperatura può scendere a 18-20 gradi, i giocatori si presentavano coi guanti. Ho portato anche un calciatore italiano, Michele Gelsi, che a Pescara era stato capitano di Allegri e rimase alcuni mesi».
I progressi del calcio in Arabia sono stati in linea con le premesse di allora?
«Sì, nonostante su alcuni aspetti siano rimasti ancora un po’ indietro sono ambiziosi e hanno entusiasmo: partecipano ai Mondiali, in Asia se la giocano con le più forti, gestiscono nel modo migliore il periodo del Ramadan. La passione è davvero tanta».
Lei ha allenato anche in Ghana, in Libia, in Albania, in Etiopia. Come si colloca l’arabia in questo bagaglio umano e professionale così ricco e insolito?
«Subito dopo il Ghana, dove sono rimasto tre anni e ho ancora diversi contatti. In Arabia fu più difficile creare dei legami, ma a Gedda ci tornerei volentieri».
Gonzalo Higuain invece ci va controvoglia secondo lei?
«Le pressioni sono forti, ma le dichiarazioni di Gattuso fanno pensare che qualcosa davvero non vada per il verso giusto. È vero che i giocatori sono umani e che tra l’altro Higuain andrebbe servito in modo diverso, ma la fragilità che mostra è eccessiva».
Cristiano Ronaldo invece è inscalfibile?
«Così pare. Finora ha gestito bene le accuse che gli arrivano dagli Stati Uniti, anche grazie alla società e alla squadra, che non perde mai un colpo».
Il pronostico per mercoledì è sbilanciato a favore della Juve. È davvero così?
«Sembrerebbe di sì. Ma il condizionale è sempre d’obbligo prima di certe partite».
Dossena/1 Le polemiche sono state fuori tempo massimo, si sapeva da agosto che si sarebbe giocata questa partita
Dossena/2 Non sono contrario, per gli arabi la partita è uno strumento per mostrarsi al mondo e muovere qualcosa nella loro società
Al ristorante Mia moglie portava il velo. Se andavo a cena con lei stavo nel settore per le famiglie, quando ero con il mio staff in quello degli uomini