L’atletica è giovane e viva»
Il presidente Giomi davanti a venti mesi di fuoco «Di fronte a responsabilità politiche, mi sarei dimesso dopo l’europeo. Ho fatto errori, però ho dato tutto»
Presidente Giomi, l’atletica italiana ha davanti 20 mesi di fuoco: il Mondiale di Doha a ottobre seguito dai Giochi 2020 a Tokyo, dove l’imperativo sarà cancellare le zero medaglie di Rio. Vivere o morire. L’atletica vivrà o morirà?
«Saprà farsi rispettare. Nel nostro sport nulla è facile: tra il trionfo e l’insuccesso è questione di un centesimo o un centimetro. Ma al lavoro c’è una grande squadra di tecnici con un gruppo di atleti giovani. Non li ho mai visti così determinati e consapevoli».
Parole già sentite. Perché, questa volta, la consapevolezza dovrebbe essere più consapevole e la determinazione più determinata?
«Capisco la domanda. Non sono parole mie, lo dicono gli atleti. Il messaggio arriva da loro e io mi fido».
Siamo reduci da un buon 2018 eppure all’attenzione si è imposto un deludente (quanto a medaglie) Europeo di Berlino. Perché?
«Me lo sono chiesto anch’io. Se l’europeo non ha consolidato i risultati, evidentemente ci sono stati degli errori significativi. Ne abbiamo parlato, li abbiamo riconosciuti. Ripartiamo da lì».
Il Club Élite è stato ridotto, certi atleti hanno pagato. I manager e i dirigenti non pagano mai gli insuccessi?
«Il vertice politico della Federatletica risponde ogni quattro anni. Se ci fossero state responsabilità politiche, mi sarei dimesso. Se non avessi sostenuto il settore, se non avessi immesso risorse... Ma tutto questo è stato fatto».
Perché, con un bilancio di 25 milioni di euro, l’italia arriva 16ª nel medagliere europeo anni luce dopo la Polonia, 2ª dietro la Gran Bretagna?
«I paragoni tra Paesi sono sempre difficili. Io piuttosto mi chiedo: perché, pur essendoci in Italia tutte le condizioni, non facciamo i risultati della Polonia? Io dico che siamo sulla strada della Polonia. Siamo pronti. Non ci sono alibi. Che l’atletica azzurra sia più ricca di talenti di quando l’ho presa in mano nel dicembre 2012 è un fatto».
Un merito che si riconosce.
«Ho la serenità di poter dire che non potevo dare di più. Ho speso tutto quello che ho e anche le riserve: per l’atletica ci ho rimesso la salute. Fare il presidente è un mestiere totalizzante, e io non saprei farlo in altro modo. Però vedo i risultati. In cinque anni siamo passati da 170 mila a quasi 270 mila tesserati, la Fidal ha 3 mila società, il bilancio, da 20 milioni di euro, è diventato 25».
Un errore che è disposto a riconoscere a metà del secondo mandato da presidente.
«La scelta di qualche uomo».
Nomi?
«Non ne faccio. E poi...».
E poi?
«L’incapacità di essere più freddo di fronte a certe situazioni. Ma è più forte di me».
Giomi, questa chiacchierata sta prendendo la piega di un bilancio: si ricandiderà dopo Tokyo 2020?
«No».
Comunque vadano le cose?
«Comunque vadano le cose. L’ho già detto ai miei. La mia parentesi nell’atletica durerà 8 anni: scelta personale. È giusto così. Tutti possono candidarsi, ma sappiano che per fare il presidente della Fidal ci vuole un’esperienza maturata sul campo da non sottovalutare».
L’europeo a Roma, nel 2022, è la prossima missione?
«Sarebbe bellissimo portarlo a casa, benché il momento sia complesso. Però non è detto che, se ce la facciamo, mi riguardi direttamente».
L’integrazione per voi dell’atletica è un dato di fatto.
«È normale, fa parte della nostra cultura. L’atletica è inclusiva per natura».
Cosa si aspetta quest’anno da Filippo Tortu?
«Un nuovo primato italiano nei 100 metri e la finale a Doha. Filippo è in forte crescita: può fare tutto».
Chiedere a Fausto Desalu di battere Mennea nei 200 forse è troppo...
«Filippo e Faustino ci dicono molto del nostro stato di salute, che è ottimo. Il 20”13 di Berlino per andare in finale a Doha non basta, ma Desalu è un atleta diverso: lo sa».
Tamberi è un’incognita?
«Tamberi è un grandissimo. Che potesse tornare a questi livelli dopo il 2,39 e un infortunio gravissimo era un miraggio. All’inizio del mandato mi dicevano: Gimbo non ha testa. Tutto il contrario. Chapeau».
Una sorpresa su cui punterebbe?
«Non è un giovane, ma io ci credo: Daniele Meucci. Lo vedo grande protagonista della maratona in Qatar. E poi Marcel Jacobs: cosa farà, quest’anno, nella corsa e nei salti?».
Stefano Baldini non ha ritirato le dimissioni. Problema politico, si è detto.
«Il problema non sono io. C’è stata incomprensione ma io sono stato il suo più grande sostenitore. Rimane una grande risorsa dell’atletica».
Ha notizie della Grenot?
«Dalla prossima settimana si allenerà all’infernetto. Era giusto che uscisse dall’élite ma una Libania da 51”50 in staffetta ci serve eccome».
Yokohama sarà la prima cartina di tornasole?
Da Tortu mi aspetto un nuovo record italiano nei 100 e la finale al Mondiale È forte: può fare tutto
La Grenot si allenerà a Roma, all’infernetto. Era giusto che uscisse dal gruppo élite, ma nella 4x400 ci serve
«Il Mondiale di staffette sarà importantissimo. Ne abbiamo quattro di valore: le due 4x400, la 4x100 uomini e la 4x400 mista. Lì capiremo molto della nostra stagione, di Doha e di Tokyo. E io non posso che guardare con ottimismo al futuro».