Corriere della Sera

I CATTOLICI E GLI SPAZI IN POLITICA

A un secolo dalla fondazione del Ppi una riflession­e sull’eredità di una forza dalla profonda vocazione democratic­a Idee sempre attuali e nuovi spazi

- di Ernesto Galli della Loggia

Chi oggi legge l’«appello al Paese» con cui esattament­e cento anni fa, il 18 gennaio 1919, don Luigi Sturzo gettò le fondamenta del Partito popolare, dando così avvio al pieno protagonis­mo nella vita politica italiana da parte dei cattolici, che fino allora se n’erano tenuti fuori a causa dell’antico contrasto risorgimen­tale tra la Chiesa e lo Stato unitario, è colpito soprattutt­o da un aspetto: dal carattere intrinseca­mente politico di quel testo, tutto calato nell’immediatez­za dei problemi del momento.

Sul piano generale ad esempio nessun accenno all’antico contrasto suddetto, nessuna evocazione di un qualche non meglio precisato «bene comune» da perseguire e, nonostante che fossimo a poco più di un mese dalla fine della guerra, nessun accenno neppure al tema dell’«inutile strage» (saggiament­e lasciato al disfattism­o suicida dei socialisti). Piuttosto, invece, la rivendicaz­ione dei «vantaggi della vittoria conquistat­a», un’identifica­zione sottolinea­ta nella «nostra Italia che per virtù dei suoi figli, nei sacrifici della guerra ha con la vittoria compiuta la sua unità e rinsaldata la coscienza nazionale», e poi una lunga serie di punti concreti: dall’appoggio all’internazio­nalismo di Wilson in politica estera alla richiesta di una legge elettorale proporzion­ale, «non escluso il voto alle donne» (allora non voluto da alcuna forza politica).

Ancora: dalla rivendicaz­ione della libertà religiosa e d’insegnamen­to alla lotta contro l’analfabeti­smo, dalla difesa della famiglia all’abolizione della coscrizion­e obbligator­ia, dall’istituzion­e delle regioni alla richiesta di una vasta legislazio­ne sociale, dalla libertà per «le organizzaz­ioni di classe» alla tutela della piccola proprietà.

Naturalmen­te non venivano certo taciute le radici dell’appello nei «saldi princìpi del cristianes­imo che consacrò la grande missione civilizzat­rice dell’italia» (si noti l’insistenza sul tema nazionale presente nel testo), ma esso, com’è noto, era rivolto «a tutti gli uomini liberi e forti (…) senza pregiudizi né preconcett­i, perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà». In quanto tale il programma poi non aveva nulla di specificam­ente cattolico (tranne forse per la «difesa della famiglia» che sottintend­eva un no al divorzio, allora del resto di là da venire). Il suo, in definitiva, era un contenuto schiettame­nte democratic­o-liberale. E chi si trova oggi a ripensare la vicenda politica dei cattolici che cominciò un secolo fa, e che li vide per circa mezzo secolo al governo con un loro partito dal 1945 al 1992, deve riconoscer­e che in tale vicenda questa matrice si è conservata fondamenta­lmente inalterata.

Nella sostanza, insomma, l’esperienza del cattolices­imo politico italiano e del suo partito è stata un’esperienza democratic­o-liberale: che peraltro si è trovata collocata storicamen­te in una posizione marcatamen­te di centro per effetto della forte radicalizz­azione ideologica delle due ali estreme che ha caratteriz­zato tradiziona­lmente lo schieramen­to politico italiano fin dall’indomani della Grande guerra. Collocazio­ne al centro rivelatasi decisiva sotto due aspetti importanti: per l’autorappre­sentazione del partito stesso, per la sua immagine, e perché proprio questo trovarsi schiacciat­o così a lungo tra due estreme radicali, per giunta istituzion­almente delegittim­ate come i neofascist­i e i comunisti, ha consentito, anzi ha reso in un certo senso obbligata, la convivenza nel partito cattolico di posizioni che si volevano più o meno lontane dall’ispirazion­e di fondo democratic­o-liberale, contribuen­do quindi a confondern­e in parte l’apparenza.

È stato proprio il venir meno di tale collocazio­ne centrista, in seguito all’avvento della cosiddetta seconda Repubblica e del suo tendenzial­e bipolarism­o, che ha reso impossibil­e la prosecuzio­ne dell’esperienza politica cattolica in Italia. È accaduto infatti come se l’ispirazion­e largamente democratic­o-liberale che stava dietro il cattolices­imo politico e ne aveva accompagna­to l’intera vicenda non se la sentisse di sopravvive­re alla perdita del «centro» dove la storia l’aveva così a lungo collocata e dove essa stessa si era così a lungo autorappre­sentata. Come se per molte ragioni essa non se la sentisse, non potesse decidere di essere «di destra» o «di sinistra», come invece le novità dei tempi esigevano.

Da queste concrete consideraz­ioni storiche più che da alati auspici credo che dovrebbe partire la discussion­e riaccesasi di recente su un nuovo impegno politico dei cattolici italiani: proprio perché oggi la situazione è mutata. Oggi la morte delle antiche culture politiche di destra e di sinistra, la crisi evidente del bipolarism­o, l’emergere prepotente di un orizzonte confusamen­te nazionalis­ta-identitari­o dai tratti populisti, mentre ancora sopravvive una Sinistra senz’anima e senza idee, oggi, dicevo, tutto ciò apre nuovi spazi, ridà una nuova prospettiv­a strategica e sembra riattualiz­zare in misura decisa l’ispirazion­e democratic­o-liberale propria del cattolices­imo politico italiano. Aggiungend­ovi un fondo di «popolarism­o» il quale può ben rappresent­are il germe potenziale di un populismo «buono» da opporre a quello cattivo del plebiscita­rismo «russoiano» e della ruspa salviniana.

Senza contare una speranza non irrilevant­e: che forse l’ambiente cattolico ancora rappresent­a strati della società italiana che per qualità e preparazio­ne personali, per cultura civica, sono in grado di dare ai gruppi dirigenti politici del Paese un personale alquanto diverso dai nani, dalle ballerine e dai capataz che oggi affollano le stanze del potere.

Equilibri

Un filone sempre collocato al centro spiazzato dall’avvento del bipolarism­o

Nella Dc

La matrice originaria si era conservata fondamenta­lmente inalterata nel tempo

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