SOVRANISTI PIÙ VICINI ALL’EUROPA
Alle prossime elezioni europee si presenterà un numero senza precedenti di partiti appartenenti alla destra neonazionalista. Non conquisteranno la maggioranza, ma è possibile che diventino il secondo raggruppamento dopo i popolari. Giusto dunque chiedersi quali progetti i sovranisti abbiano in mente. Per ora non ci sono programmi e andare oltre un generico accordo in negativo, a difesa dei popoli contro i famosi burocrati non eletti, è tutt’altro che facile. Si possono tuttavia intravedere alcuni primi indizi.
Innanzitutto è chiaro che questi partiti non vogliono più demolire la Ue e abbandonare l’euro. Marine Le Pen l’ha ormai riconosciuto espressamente (Corriere del 18 gennaio). Dal canto suo l’olandese Geert Wilders ha messo da parte la cosiddetta Nexit. Heinz-christian Strache, il vicecancelliere austriaco del Partito della Libertà (destra neonazionalista) avrebbe voluto l’euro del Nord e quello del Sud. Ora che Salvini ha accettato di rimanere nell’eurozona e di rispettare il Patto di stabilità, Stracher ha cambiato idea. Quanto ai leader del gruppo di Visegrad (fra cui spiccano Orbàn e Kaczynski), i copiosi fondi strutturali che arrivano da Bruxelles fanno troppa gola per pensare di uccidere la gallina dalle uova d’oro.
L’avvicinarsi delle elezioni sta accelerando la «normalizzazione» in senso europeo dei sovranisti. Da partiti di lotta antisistema, alcuni di loro sono diventati partiti di governo (a cominciare dalla Lega).
L addove non sono ancora nella stanza dei bottoni, questi partiti, vorrebbero comunque entrarci presto. Sappiamo che governare vuol dire scendere a compromessi, diventare realisti: il che nell’europa di oggi significa in primo luogo rispettare le regole della Ue, in modo da poter trarre tutti i vantaggi dell’integrazione.
Secondo Le Pen, rinunciare all’uscita dall’euro non significa naturalmente accettare «questa» Ue: l’obiettivo resta costruire «un’altra Europa». Per capire, occorre rispolverare le radici del lepenismo originario, quello degli anni Ottanta del secolo scorso, fortemente ispirato alle idee della Nouvelle Droite francese. In quel contesto, «Europa» voleva dire civiltà europea, intesa come un insieme di idee e valori condivisi, contrapposti a quelli di altre culture e in particolare dell’islam. È una visione che ricorre ancora frequentemente nei discorsi di Marine Le Pen, e che spesso affiora anche in Salvini o Wilders. Una visione che tocca molte corde all’interno di elettorati nazionali sempre più impauriti dall’immigrazione, dalla disoccupazione, dal terrorismo, dal carattere multi-etnico delle nostre società. Nel suo ultimo romanzo sui sentimenti popolari profondi della Middle England (dove si sono concentrati i voti a favore della Brexit), Jonathan Coe racconta molto bene il risentimento dei nativi nei confronti di tutti residenti non bianchi: i cosiddetti BAMES (Black, Asian and Minority Ethnic), nonché la crescente insofferenza nei confronti dei canoni politically correct. La condivisione di questo humus culturale potrà fornire un punto di appoggio per sviluppare una qualche agenda comune fra sovranisti.
Sul tema della difesa dei confini esterni ad esempio, forse sul terrorismo. Sull’accesso e lo status degli extracomunitari, la loro libertà di soggiorno e movimento (da ridurre), i requisiti di integrazione linguistica e culturale per ottenere la residenza, le procedure di naturalizzazione (da rendere più difficili). Così come su altri temi di natura identitaria, ad esempio cultura ed educazione. Sui temi economici e sociali sarà invece difficile trovare convergenze. Il gruppo sovranista sarà infatti attraversato da quelle stesse divisioni Nord-sud (creditori/debitori) e Estovest (libertà di movimento) che riguardano ormai tutte le famiglie partitiche europee. Mentre però all’interno di queste ultime la presenza di ideologie solidaristiche e proue ha contenuto le tensioni, nel gruppo sovranista queste non potranno che amplificarsi, visto che il Dna dei singoli partiti è proprio la difesa degli interessi nazionali. L’unico altro fronte su cui potranno emergere posizioni comuni è quello istituzionale. Come ha, di nuovo, detto Marine Le Pen, i Trattati sono flessibili, con la giusta interpretazione si possono fare cose molto diverse da quelle sin qui fatte.
Saranno alla fine i numeri a decidere l’influenza dei sovranisti nel nuovo Parlamento. Lo Spitzenkandidat, capolista dei popolari, Manfred Weber, ha già annunciato di non avere preclusioni ad allearsi con la destra. Per un politico che proviene da quella tradizione cristiano-democratica cui appartenevano i Padri fondatori, si tratta di una dichiarazione imprudente e affrettata. Del resto, però, se l’altra grande tradizione europeista, quella socialista e democratica, non esce dal letargo, è difficile immaginare scenari alternativi. La sconfitta di «questa» Ue sarà perciò in larga misura auto-inflitta. L’unione sopravvivrà, ma l’instabilità è destinata ad aumentare mentre diminuirà la capacità di prendere decisioni per la crescita, l’occupazione e la sostenibilità di tutta l’economia europea.