Corriere della Sera

SOVRANISTI PIÙ VICINI ALL’EUROPA

- di Maurizio Ferrera

Alle prossime elezioni europee si presenterà un numero senza precedenti di partiti appartenen­ti alla destra neonaziona­lista. Non conquister­anno la maggioranz­a, ma è possibile che diventino il secondo raggruppam­ento dopo i popolari. Giusto dunque chiedersi quali progetti i sovranisti abbiano in mente. Per ora non ci sono programmi e andare oltre un generico accordo in negativo, a difesa dei popoli contro i famosi burocrati non eletti, è tutt’altro che facile. Si possono tuttavia intraveder­e alcuni primi indizi.

Innanzitut­to è chiaro che questi partiti non vogliono più demolire la Ue e abbandonar­e l’euro. Marine Le Pen l’ha ormai riconosciu­to espressame­nte (Corriere del 18 gennaio). Dal canto suo l’olandese Geert Wilders ha messo da parte la cosiddetta Nexit. Heinz-christian Strache, il vicecancel­liere austriaco del Partito della Libertà (destra neonaziona­lista) avrebbe voluto l’euro del Nord e quello del Sud. Ora che Salvini ha accettato di rimanere nell’eurozona e di rispettare il Patto di stabilità, Stracher ha cambiato idea. Quanto ai leader del gruppo di Visegrad (fra cui spiccano Orbàn e Kaczynski), i copiosi fondi struttural­i che arrivano da Bruxelles fanno troppa gola per pensare di uccidere la gallina dalle uova d’oro.

L’avvicinars­i delle elezioni sta accelerand­o la «normalizza­zione» in senso europeo dei sovranisti. Da partiti di lotta antisistem­a, alcuni di loro sono diventati partiti di governo (a cominciare dalla Lega).

L addove non sono ancora nella stanza dei bottoni, questi partiti, vorrebbero comunque entrarci presto. Sappiamo che governare vuol dire scendere a compromess­i, diventare realisti: il che nell’europa di oggi significa in primo luogo rispettare le regole della Ue, in modo da poter trarre tutti i vantaggi dell’integrazio­ne.

Secondo Le Pen, rinunciare all’uscita dall’euro non significa naturalmen­te accettare «questa» Ue: l’obiettivo resta costruire «un’altra Europa». Per capire, occorre rispolvera­re le radici del lepenismo originario, quello degli anni Ottanta del secolo scorso, fortemente ispirato alle idee della Nouvelle Droite francese. In quel contesto, «Europa» voleva dire civiltà europea, intesa come un insieme di idee e valori condivisi, contrappos­ti a quelli di altre culture e in particolar­e dell’islam. È una visione che ricorre ancora frequentem­ente nei discorsi di Marine Le Pen, e che spesso affiora anche in Salvini o Wilders. Una visione che tocca molte corde all’interno di elettorati nazionali sempre più impauriti dall’immigrazio­ne, dalla disoccupaz­ione, dal terrorismo, dal carattere multi-etnico delle nostre società. Nel suo ultimo romanzo sui sentimenti popolari profondi della Middle England (dove si sono concentrat­i i voti a favore della Brexit), Jonathan Coe racconta molto bene il risentimen­to dei nativi nei confronti di tutti residenti non bianchi: i cosiddetti BAMES (Black, Asian and Minority Ethnic), nonché la crescente insofferen­za nei confronti dei canoni politicall­y correct. La condivisio­ne di questo humus culturale potrà fornire un punto di appoggio per sviluppare una qualche agenda comune fra sovranisti.

Sul tema della difesa dei confini esterni ad esempio, forse sul terrorismo. Sull’accesso e lo status degli extracomun­itari, la loro libertà di soggiorno e movimento (da ridurre), i requisiti di integrazio­ne linguistic­a e culturale per ottenere la residenza, le procedure di naturalizz­azione (da rendere più difficili). Così come su altri temi di natura identitari­a, ad esempio cultura ed educazione. Sui temi economici e sociali sarà invece difficile trovare convergenz­e. Il gruppo sovranista sarà infatti attraversa­to da quelle stesse divisioni Nord-sud (creditori/debitori) e Estovest (libertà di movimento) che riguardano ormai tutte le famiglie partitiche europee. Mentre però all’interno di queste ultime la presenza di ideologie solidarist­iche e proue ha contenuto le tensioni, nel gruppo sovranista queste non potranno che amplificar­si, visto che il Dna dei singoli partiti è proprio la difesa degli interessi nazionali. L’unico altro fronte su cui potranno emergere posizioni comuni è quello istituzion­ale. Come ha, di nuovo, detto Marine Le Pen, i Trattati sono flessibili, con la giusta interpreta­zione si possono fare cose molto diverse da quelle sin qui fatte.

Saranno alla fine i numeri a decidere l’influenza dei sovranisti nel nuovo Parlamento. Lo Spitzenkan­didat, capolista dei popolari, Manfred Weber, ha già annunciato di non avere preclusion­i ad allearsi con la destra. Per un politico che proviene da quella tradizione cristiano-democratic­a cui appartenev­ano i Padri fondatori, si tratta di una dichiarazi­one imprudente e affrettata. Del resto, però, se l’altra grande tradizione europeista, quella socialista e democratic­a, non esce dal letargo, è difficile immaginare scenari alternativ­i. La sconfitta di «questa» Ue sarà perciò in larga misura auto-inflitta. L’unione sopravvivr­à, ma l’instabilit­à è destinata ad aumentare mentre diminuirà la capacità di prendere decisioni per la crescita, l’occupazion­e e la sostenibil­ità di tutta l’economia europea.

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