Corriere della Sera

Con il deficit a rischio l’ombra dei tagli automatici già decisi nella manovra

Il monitoragg­io sui conti potrebbe portare alla stretta sul bilancio

- di Federico Fubini

La domanda, nel caso in cui abbia ragione la Banca d’italia, non è se il governo debba già pensare a una manovra correttiva durante il 2019. È come possa evitarla, dato che essa è già innescata automatica­mente dalla legge di Bilancio che la maggioranz­a ha approvato in Parlamento poco più di due settimane fa. Ma non sarà facile riuscirci, perché ciò potrebbe portare con sé un ritorno del rischio che la Commission­e europea minacci una procedura sui conti pubblici dell’italia.

La Banca d’italia ha appena rivisto le proprie previsioni di crescita del Paese, con più cautela rispetto al governo. Al posto di un tasso di crescita dell’uno per cento sul quale si fonda l’impianto della legge di Bilancio per il 2019, ora l’istituto centrale ipotizza un ritmo dello 0,6% per quest’anno dopo una recessione «tecnica» negli ultimi sei mesi dell’anno scorso. Non è irrealisti­co, ma quello tratteggia­to della Banca d’italia sarebbe pur sempre uno scenario relativame­nte positivo data la situazione attuale.

L’economia nazionale sta entrando nel nuovo anno sulla scia di una contrazion­e negli ultimi mesi, dunque avvia il 2019 con l’handicap di una crescita negativa: un po’ come una squadra di calcio che inizi il nuovo campionato con una penalizzaz­ione di punti. Perché sia centrata la stima della Banca d’italia di una crescita dello 0,6% nel 2019, bisogna dunque che nei prossimi trimestri il Paese viva una accelerazi­one costante dell’attività e arrivi all’inverno prossimo a un ritmo annualizza­to di espansione di circa l’1,5%. Non è scontato. È possibile a patto che la congiuntur­a internazio­nale aiuti l’export. Nell’ipotesi che questo scenario ipotizzato dalla Banca d’italia si realizzi davvero, resta però da chiedersi cosa possa accadere alla finanza pubblica.

Di certo, non sarebbero notizie positive. Lo sarebbero ancora di meno perché l’attuale inflazione in frenata rischia di limitare ancora di più il volume calcolato in euro del gettito fiscale e del prodotto interno lordo (Pil), cioè del metro sul quale si misurano deficit e debito pubblico. Le conseguenz­e di questo fenomeno sono prevedibil­i: una crescita di 0,4% del Pil più bassa del previsto, in genere, fa aumentare il deficit dello 0,2% del Pil rispetto agli obiettivi prefissati. In altri termini — se la Banca d’italia ha ragione nelle sue stime di crescita — il disavanzo dell’italia è già diretto verso il 2,2% del Pil; non più al 2% così faticosame­nte concordato con la Commission­e Ue appena un mese fa. E ciò resterebbe vero anche con tutte le clausole di salvaguard­ie previste sulle pensioni nel decreto approvato dal governo giovedì.

Cosa può succedere a quel punto? Giovanni Tria ha già risposto nella sua recente intervista al Corriere: «Il disavanzo verrà tenuto in ogni caso sotto controllo con un’attenta azione di monitoragg­io che è stata prevista e rafforzata con norme specifiche». Quello del ministro dell’economia è un richiamo esplicito a una norma che il governo ha inserito il legge di Bilancio in dicembre per evitare in extremis la procedura europea. In aprile e soprattutt­o nel luglio prossimo si faranno verifiche sui conti dell’italia e risultasse che il deficit nominale (non stimato al netto della frenata economica) tende a superare gli obiettivi, allora scattano tagli di spesa senza neanche doverli deliberare. Sono già nella legge. C’è un «accantonam­ento automatico» di uscite dei ministeri per due miliardi (1,2 solo per l’economia), che è possibile sbloccare solo se in luglio i conti risultano in linea. Esso peraltro potrebbe correggere solo metà dello scostament­o dei conti che già si intravede.

In altri termini il governo rischia già di dover stringere la cinghia in piena frenata dell’economia: è ciò che ha legiferato pur di evitare la procedura Ue.

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