Attenti a non svilire l’esercizio di tradurre
Essendo per natura ottimista (e nonostante le perplessità suscitate in me dal susseguirsi di molti degli interventi sul sistema scolastico), comincerò con l’aspetto positivo di quest’ultimo provvedimento, che rispetto al sistema in vigore (che riservava la seconda prova scritta a una sola delle lingue cosiddette morte, che tali non sono affatto, peraltro, né l’una né l’altra) mi sembra una scelta in controtendenza con l’idea fuorviante che la scuola debba essere «utile» allo studente nel senso concreto e in definitiva pecuniario del termine, e non — come dev’essere — il luogo deputato alla formazione del cittadino. E questa formazione non avviene se quel cittadino non conosce il suo passato. Perdere la memoria collettiva, come quella individuale, vuol dire non sapere più chi si è, da dove si viene e dove si vuole andare. Letta così mi sembra che questa innovazione sia di buon auspicio. Il che non impedisce che se ne possano cogliere dei possibili aspetti negativi. L’affiancamento alla traduzione dei quesiti relativi «alla comprensione e interpretazione dei brani… e alla riflessione personale» non aprirà la strada a uno svilimento della traduzione (esercizio straordinario di ginnastica mentale e formazione culturale)? Se così non sarà c’è da sperare nel buon esito di questa innovazione, alla quale sarebbe bello veder affiancato un altro provvedimento di cui la scuola ha bisogno, vale a dire la destinazione di finanziamenti maggiori di quelli di cui dispone. Augurio che facciamo a tutti noi e al tempo stesso impegno a cui non possiamo sottrarci: il futuro del Paese dipende dalla scuola che metteremo i nostri giovani in grado di frequentare.
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