Corriere della Sera

Attenti a non svilire l’esercizio di tradurre

- di Eva Cantarella

Essendo per natura ottimista (e nonostante le perplessit­à suscitate in me dal susseguirs­i di molti degli interventi sul sistema scolastico), comincerò con l’aspetto positivo di quest’ultimo provvedime­nto, che rispetto al sistema in vigore (che riservava la seconda prova scritta a una sola delle lingue cosiddette morte, che tali non sono affatto, peraltro, né l’una né l’altra) mi sembra una scelta in controtend­enza con l’idea fuorviante che la scuola debba essere «utile» allo studente nel senso concreto e in definitiva pecuniario del termine, e non — come dev’essere — il luogo deputato alla formazione del cittadino. E questa formazione non avviene se quel cittadino non conosce il suo passato. Perdere la memoria collettiva, come quella individual­e, vuol dire non sapere più chi si è, da dove si viene e dove si vuole andare. Letta così mi sembra che questa innovazion­e sia di buon auspicio. Il che non impedisce che se ne possano cogliere dei possibili aspetti negativi. L’affiancame­nto alla traduzione dei quesiti relativi «alla comprensio­ne e interpreta­zione dei brani… e alla riflession­e personale» non aprirà la strada a uno svilimento della traduzione (esercizio straordina­rio di ginnastica mentale e formazione culturale)? Se così non sarà c’è da sperare nel buon esito di questa innovazion­e, alla quale sarebbe bello veder affiancato un altro provvedime­nto di cui la scuola ha bisogno, vale a dire la destinazio­ne di finanziame­nti maggiori di quelli di cui dispone. Augurio che facciamo a tutti noi e al tempo stesso impegno a cui non possiamo sottrarci: il futuro del Paese dipende dalla scuola che metteremo i nostri giovani in grado di frequentar­e.

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