«Vittorio, ci hai insegnato la bellezza della bontà»
Il suo primo nome, Vittorio, gli stava a pennello: era del 1937, nato a Roma. Gli altri sei nomi avevano diversi motivi: anche Napoleone perché era il nome di suo papà: capodeposito nelle Ferrovie dello Stato. Vittorio ne ha ripercorso la traccia con la professione di macchinista, per quarant’anni. Aveva guidato persino treni a vapore e ci raccontava di quando si spalava il carbone. Vittorio aveva fatto le Scuole di avviamento professionale, con passione. Intendeva la conoscenza come realtà concreta da condividere in un atteggiamento di continua scoperta. Lui voleva «che non vi fossero segreti» ovvero che tutto avesse una spiegazione chiara per costituire un’oggettività che unisse le persone. Credeva al senso di comunità, al superamento dell’individualismo se a danno di altri. Le sue fotografie ritraggono il suo silenzio per l’impegno severo, l’assunzione di responsabilità e la solitudine di un mondo lontano da relazioni e contatti. A Milano, la mia, diventata anche sua città, abbiamo voluto la famiglia: i nostri figli, Marco e Cinzia si sono laureati condividendo la fiducia di Vittorio per sviluppare la bontà dal profondo dell’animo che è il vero capitale umano: per noi nella memoria e per coloro che non avendolo conosciuto ne hanno traccia del suo esempio.