Corriere della Sera

Israele, terra di tesori

Meraviglie archeologi­che ma anche kibbutz: venite a scoprire il Paese con il «Corriere della Sera»

- Davide Frattini dafrattini

La città vecchia di San Giovanni d’acri, Masada, i giardini Bahai ad Haifa, i siti archeologi­ci di Megiddo, Hazor, Beer Sheva, i villaggi nabatei scavati nella roccia desertica del Negev, il quartiere Bauhaus disegnato dagli architetti europei a Tel Aviv. Sono i beni locali (c’è anche la basilica della Natività a Betlemme, su raccomanda­zione dei palestines­i) già tutelati e inseriti nella lista planetaria dell’unesco, tesori che nelle sue tappe il viaggio del Corriere visita in gran parte.

Da anni la commission­e israeliana presso l’ente delle Nazioni Unite chiede che i kibbutz vengano aggiunti a questo patrimonio dell’umanità. Come il DNA di un dinosauro scomparso o i ruderi di un fortino in disfacimen­to, i villaggi che sopravvivo­no uguali a cent’anni fa — collettivi e socialisti — sono rimasti solo 65 su 279. La mensa per tutti, la stalla vicino alla biblioteca, i canti attorno al fuoco, gli asili comunitari. Cimeli di un passato da pionieri che la maggior parte degli israeliani considera superato. Un passato che il gruppo di studiosi e ricercator­i vuole preservare a partire dal progenitor­e Degania — già in attesa di ammissione nell’elenco dell’unesco — costruito nell’ottobre del 1910 sulle rive del lago di Tiberiade.

Gli immigrati arrivati dall’europa agli inizi del secolo scorso stabilisco­no le comunità agricole nelle piane (spesso acquitrini da bonificare) che il nostro viaggio attraversa durante lo spostament­o da Tel Aviv verso il nord del Paese. Alla fine di marzo, dopo le piogge intense dei due mesi precedenti, i campi sono ancora verdi, come le colline della Galilea che salgono tra Haifa e Nazareth: il bianco delle tipiche case a un piano spicca ben visibile, anche se la vita all’interno ha subito una rivoluzion­e opposta a quella sognata dai fondatori. La maggior parte di questi villaggi è stata privatizza­ta per limitare l’emorragia di denaro e adepti. Nel 2007 si sono arresi pure i 320 abitanti di Degania e l’85 per cento ha votato per abolire la frase incisa nello statuto originario: «Il 25 di Tishri 5671 (28 ottobre 1910, ndr), noi compagni, dieci uomini e due donne, abbiamo fondato un insediamen­to indipenden­te di lavoratori ebrei. Una cooperativ­a, senza sfruttator­i e senza sfruttati. Una comune» .

Anche la Città Vecchia di Gerusalemm­e – con tutta la sua complessit­à è al centro del viaggio del «Corriere» – è stata inserita su richiesta della Giordania nel forziere dell’unesco che protegge i tesori culturali e naturali. Il naso rivolto all’insù, gli occhi spalancati, è verso queste pietre che Yitzthak Yifat rivolge lo sguardo commosso. Tiene l’elmetto tra le mani, assieme ai commiliton­i ha combattuto per i vicoli, è tra i primi israeliani ad arrivare davanti al Muro del Pianto: è il 7 giugno del 1967, i macigni incastrati uno sopra l’altro puntellano da un paio di millenni la speranza e la volontà degli ebrei di tornare a pregare qui, ormai sorreggono anche la Spianata delle Moschee, il terzo luogo più sacro per l’islam.

La Sura 17 del Corano racconta della notte in cui Maometto fuggì sulla bestia mitologica chiamata Buraq alla «moschea più lontana» – in arabo «al- Masjid al-aqsa – dove guidò in preghiera un gruppo di profeti prima di ascendere in cielo. Nel 691, quasi sessant’anni dopo la sua morte, il califfo Abd Almalik ibn Marwan diede ordine di costruire una moschea sulla roccia al centro del monte a 740 metri sul livello del mare.

Nella tradizione ebraica quella roccia è il punto d’incontro tra il Cielo e la Terra, è la rupe a cui Abramo ha legato Isacco, è il basamento del Primo e del Secondo Tempio, che venne distrutto dai romani nel 70. Lo aveva ricordato Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, quando un paio di anni fa aveva polemizzat­o con i diplomatic­i che avevano sostenuto una di serie di risoluzion­i votate proprio all’unesco: «Cancellano la nostra storia e il legame che unisce gli ebrei al Monte del Tempio». Li aveva invitati a visitare l’arco di Tito a Roma: sul marmo è inciso ed esaltato il saccheggio di Gerusalemm­e, il bottino di guerra che comprendev­a anche la menorah a sette bracci. Il candelabro a olio acceso dai sacerdoti per illuminare il Secondo Tempio è ancora il simbolo di Israele.

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 ??  ?? Il respiro della storiaIn alto una immagine della città vecchia di Gerusalemm­e con la Cupola della roccia in primo piano. Qui sopra la fortezza di Masada, che si trova nel deserto del Negev
Il respiro della storiaIn alto una immagine della città vecchia di Gerusalemm­e con la Cupola della roccia in primo piano. Qui sopra la fortezza di Masada, che si trova nel deserto del Negev
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