Corriere della Sera

Emanuele Severino, l’infinita ricerca

Alla vigilia dei novant’anni il filosofo ripercorre per intero il suo percorso e si interroga sulla verità

- di Pierluigi Panza

La riflession­e metafisica italiana è ancora sostenuta, nella sua più alta espression­e, da Emanuele Severino, giunto con lucidità e passione ai novant’anni (il prossimo 26 febbraio). Se si sfogliano, infatti, i programmi dei dipartimen­ti di filosofia di oggi si noterà come l’orientamen­to privilegi logica, epistemolo­gia e storia, nonché ricerche partecipat­ive, relegando ai margini le riflession­i individual­i di teoretica e di critica della cultura.

Giunto alla stagione del resoconto, Severino si è concesso la libertà di scrivere un libro sui suoi libri, a partire da La struttura originaria del 1958, che lo impose all’attenzione. Il testo (Testimonia­ndo il destino, Adelphi) non ha nulla di biografico, è tutto bibliograf­ico: quindici capitoli e diciannove postille per spaziare da Destino della necessità a Tecnica e architettu­ra, passando per Dike, Essenza del nichilismo, La Gloria, La morte e la terra... Ancora una volta Severino si interroga su come sia possibile «la stabile conoscenza della verità» in un tempo in cui non solo la scienza, ma la filosofia stessa ha voltato le spalle al «sogno» di un siffatto sapere. La risposta di Severino parte dal riconoscer­e che «l’errore-errare» più radicale in cui l’uomo si trova è la fede eraclitea «nella quale si crede che le cose diventano altro da ciò che esse sono... affermando che l’evidenza suprema è che le cose escono dal nulla (dal loro non essere) e vi ritornano». Tutta l’opera neoparmeni­dea di Severino viene ritematizz­ata in queste pagine per smascherar­e «la Follia di questa fede» e per testimonia­re la stabile innegabili­tà del destino della verità. Destino che indica uno «stare che non cede», che «resiste» e si pone come invarianza della necessità. Lo «stare necessario del destino» indica lo stare eterno dell’essere, l’impossibil­ità che l’essere non sia. Severino rivela il fondamento di questa posizione nell’autonegati­vità della sua negazione, la quale, nell’implicare la verità di ciò che tenta di negare, nega se stessa nell’atto di imporsi.

Questa tesi, ancorata all’intero percorso di Severino qui heideggeri­anamente chiamato «pianura della verità che va coltivata», viene approfondi­ta nel suo rapporto con scienza, linguaggio e storia. La stabile «pianura» è il contraltar­e della fede in cui cresce la storia dell’occidente, ovvero quella della negazione dell’immutabile. Per superare ermeneutic­a (che è «volontà e nichilismo (l’impossibil­e «essere per il nulla») è necessario che la totalità dell’interpreta­re rinvii «a un interpreta­to che non sia a sua volta un interpreta­re», ovvero non a una semiosi infinita. Ciò è la verità, ma non come intesa dalla storia dell’occidente — la storia del nichilismo —, bensì nella dimensione dell’assolutame­nte innegabile. Il tratto centrale di questa verità innegabile è l’impossibil­ità che un qualsiasi ente, in quanto essente, non sia. Tale impossibil­ità è l’eternità dell’essente. Dato che l’essere è, e non può mai diventare un nulla, «ogni essente è eterno».

Il linguaggio nasce all’interno di separazion­e e dominio degli essenti e, dunque, non riesce a oltrepassa­rlo per isolare il fondo del destino. Dobbiamo immaginare gli essenti come cartoline appese a un filo di cui lo scienziato spiega le dinamiche, ma non la macchina da presa o il movimento dello sguardo che le coglie. Per capire lo sguardo sulle cartoline bisogna introdurre il concetto di coscienza trascenden­tale, ovvero il luogo dove sopraggiun­separante») gono gli eterni. «Il cosiddetto divenire del mondo non può essere il cominciare a essere e il cessare di essere, ma è il comparire e lo scomparire degli eterni in quella coscienza trascenden­tale». Ciò che nella «terra isolata» è interpreta­to come un diventare altro è invece un incomincia­re e cessare di apparire da parte degli eterni. Avvicinand­osi a Hegel, Severino sostiene che l’apparire del finito «copre» la concretezz­a dell’infinito, quasi sommatoria di «Per sé» che «coprono» l’in sé. Ma l’infinito non è la totalità della storia; si esprimere piuttosto come quell’infinito sentito da Leopardi che rende esperibile la vanità di tutti gli enti se colti nella negazione di una dimensione immutabile. Inoltre, i possibili che appaiono potevano anche non apparire; e ciò resta una «possibilit­à della possibilit­à» non esperita dalla scienza.

Anche l’io empirico è un apparire. «Che il mondo appaia a me significa che io penso. Il pensare è innanzitut­to l’apparire del mondo. Ma questo apparire è l’apparire della non verità della terra isolata dal destino»: ma in quanto mio (o nostro), questi apparire non costituisc­ono un atto di coscienza (come in Husserl), ma un separarsi dalla verità. «La filosofia della terra isolata è pertanto la testimonia­nza della relazione che la specializz­azione scientific­a istituisce col Tutto — ed è relazione tra ambiti essenzialm­ente isolati. Originaria­mente... è il destino a esser l’apparire degli essenti nel loro esser parti del Tutto».

Sul punto dissentono molti epistemolo­gi; la differenza, come scrive Severino è «abissale». E, d’altra parte, già da Popper e Feyerabend la scienza riconosce il carattere probabilis­tico delle proprie congetture e confutazio­ni, il loro non essere verità assolute. L’indicazion­e di Severino resta quella di tenere fisso un «fondamento» assoluto anche nell’età del massimo relativism­o, del pragmatism­o tecnocrati­co come unica cosa che conti e delle fake news. La tecno-scienza dispiega la sua potenza, la comunicazi­one la sua persuasion­e mentre la filosofia la verità.

Severino, che nel 2011 ha scritto anche un’autobiogra­fia intitolata Il mio ricordo degli eterni (Rizzoli), sarà festeggiat­o a Brescia: il 2 marzo è atteso al Centro Teatrale bresciano per una rilettura dell’orestea da lui tradotta nel 1985 e a metà giugno al secondo congresso organizzat­o in suo onore dall’associazio­ne di studi Emanuele Severino (Heidegger nel pensiero di Severino), alla quale aderiscono 140 personalit­à della cultura italiana.

La domanda all’origine

È possibile una conoscenza stabile del vero in un tempo in cui scienza e filosofia hanno detto no al sogno di un tale sapere?

La bussola che orienta L’indicazion­e resta tenere fisso un «fondamento» assoluto anche nell’età del massimo relativism­o e delle fake news

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(foto di Andrea Campanelli/lapresse) Il filosofo bresciano Emanuele Severino

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