Ultimatum Ue a Maduro
In Italia la maggioranza è divisa: Salvini con l’europa, accuse dai 5 Stelle
Ultimatum dell’europa a Maduro: «Subito elezioni libere o riconosciamo Guaidó». Francia , Germania e Spagna unite, mentre in Italia la maggioranza si divide: Salvini appoggia la Ue mentre i 5 Stelle accusano. Ed è scontro totale tra Russia, che parla di golpe, e Stati Uniti, che attraverso il segretario di Stato Pompeo avvisano: «Basta giochi».
Cresce la pressione internazionale sul regime di Nicolás Maduro in Venezuela. Due i fronti: quello europeo, dove si sta arrivando ad una linea più dura dopo la cautela iniziale; e al Consiglio di Sicurezza dell’onu, dove invece la spaccatura è evidente e la difesa del regime chavista assai agguerrita. L’idea spagnola di «dare gli otto giorni» al governo venezuelano, affinché accetti di sottoporsi a nuove elezioni presidenziali con tutti i crismi democratici, è stata accettata ieri da Francia, Germania e Gran Bretagna, con argomenti simili. Si tratta di quattro Paesi che non hanno ancora riconosciuto l’oppositore Juan Guaidó, ma potrebbero farlo a breve.
La proposta è una sorta di ultimatum: scaduti gli otto giorni, seguirebbero Stati Uniti e quasi tutta l’america Latina sulla linea di considerare Guaidó «presidente» o comunque riconoscerlo come unico interlocutore. A livello Ue, invece, la responsabile per la politica estera Federica Mogherini ha evitato di fissare scadenze, limitandosi ad annunciare «iniziative» nel caso in cui non saranno convocate a breve elezioni «libere, trasparenti e credibili».
Non c’è invece alcuna speranza di accordo alle Nazioni Unite, dove va in scena il revival della guerra fredda in America Latina. Da una parte l’intransigenza del segretario di Stato Usa Mike Pompeo che definisce quello di Maduro un regime mafioso dal quale il Venezuela ha bisogno di liberarsi al più presto, dall’altra l’ambasciatore russo che considera le iniziative di Donald Trump qualcosa di molto simile all’organizzazione di un golpe, come ai tempi di Nixon e Kissinger.
Ancora una volta Pompeo non ha voluto specificare cosa farebbero gli Stati Uniti se le cose non dovessero andare come desiderato. Tanto meno ha fatto sapere se quella dell’intervento militare in Venezuela è un’opzione.
A difendersi a New York, Maduro ha mandato il suo ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, già marito di una delle figlie di Hugo Chávez. Per il Venezuela gli ultimi avvenimenti parlano chiaro. «Tutti i Paesi satellite degli Stati Uniti hanno aspettato un segnale di Trump e si sono mossi all’unisono. Siamo in presenza di una chiara violazione della carta Onu, dell’autodeterminazione dei popoli. L’ultimatum dei Paesi europei è una mossa infantile. Perché Macron non si preoccupa dei lavoratori francesi in rivolta contro il suo governo?».
«Per fortuna il Consiglio di Sicurezza Onu farà giustizia», ha concluso Arreaga. E probabilmente ha ragione. Una mozione di censura dell’operato di Maduro è al momento assai improbabile.
A Caracas intanto la propaganda del governo lavora per screditare Guaidó. Il leader oppositore è accusato di essere un burattino dell’imperialismo, di aver fatto viaggi segreti negli Stati Uniti e Colombia per prendere ordini. Il numero due del regime Diosdado Cabello sostiene che in una riunione segreta, il 22 gennaio, Guaidó avrebbe ammesso di soffrire pressioni da Pompeo e dal senatore Marco Rubio per autoproclamarsi presidente, ma di non volerlo fare. Per dimostrare che la riunione è avvenuta davvero, la tv di regime ha diffuso un video dove si vede un uomo con un cappuccio in testa entrare in un hotel dopo Cabello. Vera o falsa che sia, la scena è diventata cult e un meme Internet in Venezuela.
Nello stallo, l’unica novità di ieri è un passo in avanti di Guaidó, il quale si è detto disposto ad incontrarsi con funzionari del governo (non con Maduro), ma solo per definire la fine di quella che chiama «usurpazione» e discutere elezioni libere.
All’onu
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