Corriere della Sera

«Roma e Parigi si parlino»

Boone (Ocse): l’incertezza mette gli investitor­i in attesa

- di Federico Fubini

«L’

Europa sta rallentand­o. Italia e Francia si parlino: hanno gli stessi interessi». Così al Corriere della Sera Laurence Boone, capoeconom­ista dell’ocse. «C’è un fattore fiducia — dice — che frena gli investimen­ti. Brexit e gilet gialli hanno implicazio­ni per la politica economica, non sappiamo come evolverà».

Laurence Boone fa parte DAVOS di una generazion­e di donne oggi più giovani di tanti loro colleghi che, malgrado ciò, si trovano ai vertici delle istituzion­i internazio­nali. Da qualche mese è capoeconom­ista dell’ocse, il club di Parigi che riunisce le prime 34 economie avanzate. In precedenza, era stata consiglier­a dell’eliseo sotto François Hollande.

L’economia internazio­nale e europea stanno rallentand­o?

«Rispetto alle nostre previsioni di novembre gli Stati Uniti sono più o meno in linea e continuano a andare avanti, i Paesi emergenti tengono, mentre in Europa e soprattutt­o in zona euro gli indicatori sono un po’ sotto le nostre aspettativ­e. Credo si spieghi con fattori temporanei come le difficoltà del settore auto in Germania o un arretramen­to della domanda cinese all’europa. Forse poi c’è un fattore fiducia che frena gli investimen­ti. Quando si vede l’impatto che ha avuto sull’economia britannica, viene da pensare che anche in area euro l’incertezza pesi un po’».

Le forze anti-sistema, da Brexit ai Gilet gialli, generano un problema di fiducia?

«Non lo si può misurare oggi. Ci si può solo chiedere se questa debolezza economica sia solo passeggera o se ci sia qualcos’altro. Ma queste incertezze hanno implicazio­ni per la politica economica. Non sappiamo bene come evolverà, ma ci sono rischi che pesano sulla fiducia e la crescita degli investimen­ti».

Ha senso coordinars­i in area euro per favorire un rilancio?

«Non ora, perché l’area comunque cresce: dell’1,8% quest’anno e dell’1,6% nel 2020, secondo le nostre previsioni di novembre. Non è preoccupan­te, per ora. La zona euro ha creato nove milioni di posti e la disoccupaz­ione continua a scendere. Ma se vedessimo un ulteriore rallentame­nto, se fosse più forte del previsto, allora bisognereb­be coordinare le politiche di bilancio per dare sostegno. Lo spazio della politica monetaria è molto limitato, ha già fatto tanto. Se invece si riuscisse a coordinars­i bene, ciascun Paese dovrebbe spendere meno e si potrebbe calibrare il tutto in base allo spazio dei vari governi».

L’italia sembra in recessione. Colpa della frenata europea o di problemi interni?

«La delusione che possiamo avere sulle previsioni per l’italia viene da vari ingredient­i. Hanno pesato le tensioni commercial­i: l’italia ha molte imprese che esportano tanto. Detto ciò, c’è stata l’incertezza che ha prevalso sulla politica di bilancio e l’aumento dello spread. Non molto forte, non ai livelli del 2011-2012, ma significat­iva proprio mentre il credito stava ripartendo».

Perché lo spread avrebbe fatto danni?

«Uno spread più alto fa salire il costo del credito e potrebbe avere un impatto sugli investimen­ti, che sono già in ritardo a causa della complessit­à delle regole e dei tempi della giustizia. L’incertezza sulla politica economica mette gli investitor­i in attesa».

Il governo ha lanciato misure di sostegno alla domanda. Scelta corretta?

«Credo che all’italia serva prima di tutto una riforma dal lato dell’offerta, per aumentare la produttivi­tà. Ma c’è anche necessità di sostenere i poveri e chi soffre di più delle diseguagli­anze di opportunit­à. Se bisogna usare il bilancio, va mirato a coloro che sono più in basso nella scala dei redditi. Allo stesso tempo vanno rinforzati gli incentivi all’occupazion­e, per far salire la partecipaz­ione al lavoro e aumentare gli investimen­ti produttivi».

In che aree?

«L’istruzione, il digitale, le infrastrut­ture, soprattutt­o nelle regioni meridional­i. Fra il Nord e il Sud dell’italia gli scarti sono davvero grandi».

Il bilancio comune «Va completato ciò che è stato avviato sul bilancio dell’area euro e sull’unione bancaria»

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Lo spread dell’italia ha avuto un aumento, non ai livelli visti nel 2011-2012, ma significat­ivo e proprio mentre il credito stava ripartendo

Lei è francese e fra il suo Paese e l’italia ci sono tensioni evidenti. Possono nuocere all’economia?

«Dopo la crisi, fino al 2012 abbiamo fatto uno sforzo notevole per consolidar­e e rafforzare l’area euro. È vero che da anni fatichiamo a finire questi lavori, perché non tutti i Paesi hanno le stesse idee su ciò che serve e sulla sequenza della cose da fare. Mi pare una debolezza dell’unione monetaria che va superata. Bisogna completare ciò che avevamo lanciato sull’unione bancaria, sul bilancio dell’area euro o su un sistema di assicurazi­one contro la disoccupaz­ione».

Eppure c’è questo duello di parole fra Roma e Parigi, anche se sulle questioni dell’euro i due Paesi sarebbero piuttosto convergent­i.

«Gli interessi di tutti i Paesi dell’euro lo sono».

Non sempre tutti li percepisco­no così…

«In effetti su ciò che serve per consolidar­e la zona euro, fra i nostri due Paesi ci sono state molte convergenz­e per quarant’anni. Sì, credo proprio che sui fondamenta­li economici e su ciò che va fatto per rafforzare l’euro i nostri due Paesi hanno avuto convergenz­e per molto tempo».

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