«Roma e Parigi si parlino»
Boone (Ocse): l’incertezza mette gli investitori in attesa
«L’
Europa sta rallentando. Italia e Francia si parlino: hanno gli stessi interessi». Così al Corriere della Sera Laurence Boone, capoeconomista dell’ocse. «C’è un fattore fiducia — dice — che frena gli investimenti. Brexit e gilet gialli hanno implicazioni per la politica economica, non sappiamo come evolverà».
Laurence Boone fa parte DAVOS di una generazione di donne oggi più giovani di tanti loro colleghi che, malgrado ciò, si trovano ai vertici delle istituzioni internazionali. Da qualche mese è capoeconomista dell’ocse, il club di Parigi che riunisce le prime 34 economie avanzate. In precedenza, era stata consigliera dell’eliseo sotto François Hollande.
L’economia internazionale e europea stanno rallentando?
«Rispetto alle nostre previsioni di novembre gli Stati Uniti sono più o meno in linea e continuano a andare avanti, i Paesi emergenti tengono, mentre in Europa e soprattutto in zona euro gli indicatori sono un po’ sotto le nostre aspettative. Credo si spieghi con fattori temporanei come le difficoltà del settore auto in Germania o un arretramento della domanda cinese all’europa. Forse poi c’è un fattore fiducia che frena gli investimenti. Quando si vede l’impatto che ha avuto sull’economia britannica, viene da pensare che anche in area euro l’incertezza pesi un po’».
Le forze anti-sistema, da Brexit ai Gilet gialli, generano un problema di fiducia?
«Non lo si può misurare oggi. Ci si può solo chiedere se questa debolezza economica sia solo passeggera o se ci sia qualcos’altro. Ma queste incertezze hanno implicazioni per la politica economica. Non sappiamo bene come evolverà, ma ci sono rischi che pesano sulla fiducia e la crescita degli investimenti».
Ha senso coordinarsi in area euro per favorire un rilancio?
«Non ora, perché l’area comunque cresce: dell’1,8% quest’anno e dell’1,6% nel 2020, secondo le nostre previsioni di novembre. Non è preoccupante, per ora. La zona euro ha creato nove milioni di posti e la disoccupazione continua a scendere. Ma se vedessimo un ulteriore rallentamento, se fosse più forte del previsto, allora bisognerebbe coordinare le politiche di bilancio per dare sostegno. Lo spazio della politica monetaria è molto limitato, ha già fatto tanto. Se invece si riuscisse a coordinarsi bene, ciascun Paese dovrebbe spendere meno e si potrebbe calibrare il tutto in base allo spazio dei vari governi».
L’italia sembra in recessione. Colpa della frenata europea o di problemi interni?
«La delusione che possiamo avere sulle previsioni per l’italia viene da vari ingredienti. Hanno pesato le tensioni commerciali: l’italia ha molte imprese che esportano tanto. Detto ciò, c’è stata l’incertezza che ha prevalso sulla politica di bilancio e l’aumento dello spread. Non molto forte, non ai livelli del 2011-2012, ma significativa proprio mentre il credito stava ripartendo».
Perché lo spread avrebbe fatto danni?
«Uno spread più alto fa salire il costo del credito e potrebbe avere un impatto sugli investimenti, che sono già in ritardo a causa della complessità delle regole e dei tempi della giustizia. L’incertezza sulla politica economica mette gli investitori in attesa».
Il governo ha lanciato misure di sostegno alla domanda. Scelta corretta?
«Credo che all’italia serva prima di tutto una riforma dal lato dell’offerta, per aumentare la produttività. Ma c’è anche necessità di sostenere i poveri e chi soffre di più delle diseguaglianze di opportunità. Se bisogna usare il bilancio, va mirato a coloro che sono più in basso nella scala dei redditi. Allo stesso tempo vanno rinforzati gli incentivi all’occupazione, per far salire la partecipazione al lavoro e aumentare gli investimenti produttivi».
In che aree?
«L’istruzione, il digitale, le infrastrutture, soprattutto nelle regioni meridionali. Fra il Nord e il Sud dell’italia gli scarti sono davvero grandi».
Il bilancio comune «Va completato ciò che è stato avviato sul bilancio dell’area euro e sull’unione bancaria»
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Lo spread dell’italia ha avuto un aumento, non ai livelli visti nel 2011-2012, ma significativo e proprio mentre il credito stava ripartendo
Lei è francese e fra il suo Paese e l’italia ci sono tensioni evidenti. Possono nuocere all’economia?
«Dopo la crisi, fino al 2012 abbiamo fatto uno sforzo notevole per consolidare e rafforzare l’area euro. È vero che da anni fatichiamo a finire questi lavori, perché non tutti i Paesi hanno le stesse idee su ciò che serve e sulla sequenza della cose da fare. Mi pare una debolezza dell’unione monetaria che va superata. Bisogna completare ciò che avevamo lanciato sull’unione bancaria, sul bilancio dell’area euro o su un sistema di assicurazione contro la disoccupazione».
Eppure c’è questo duello di parole fra Roma e Parigi, anche se sulle questioni dell’euro i due Paesi sarebbero piuttosto convergenti.
«Gli interessi di tutti i Paesi dell’euro lo sono».
Non sempre tutti li percepiscono così…
«In effetti su ciò che serve per consolidare la zona euro, fra i nostri due Paesi ci sono state molte convergenze per quarant’anni. Sì, credo proprio che sui fondamentali economici e su ciò che va fatto per rafforzare l’euro i nostri due Paesi hanno avuto convergenze per molto tempo».