Pompeo e il falco reaganiano per recuperare terreno su Putin
N el l’ amministrazione di Washington ormai sono tutti convinti: è stato un grave errore lasciare spazio a Vladimir Putin in Venezuela. Adesso il problema è recuperare influenza in un Paese «nel nostro emisfero», come ha detto il consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton.
Negli ultimi due anni Donald Trump ha più volte evocato anche la possibilità di un intervento militare a Caracas. Nel 2017 e poi nel 2018 i dissidenti del regime, compreso qualche alto grado dell’esercito, si sono presentati periodicamente alla Casa Bianca chiedendo aiuto per rovesciare Nicolás Maduro. Ma il governo americano non si era mai fidato. Fu l’allora consigliere per la sicurezza nazionale Herbert Raymond Mcmaster a bocciare ogni ipotesi di invasione, più o meno con queste parole: non sappiamo quanto consenso abbia questa gente, magari è solo un gruppetto di rinnegati. Trump si limitò a sanzionare lo stesso Maduro nel 2017 e poi la moglie Flores insieme con qualche altro ministro il 25 settembre del 2018.
Nel frattempo il presidente venezuelano aveva incontrato diverse volte Putin, concludendo una serie di accordi per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi e ottenendo forniture di armi, veicoli blindati e aeroplani per rafforzare l’unica cosa che funziona in Venezuela: l’esercito. Da tempo gli emissari di Putin, come scrivevano i giornali americani già lo scorso autunno, agiscono da consiglieri di Maduro.
La svolta degli Stati Uniti è maturata nelle ultime settimane, quando, grazie anche alle pressioni del senatore della Florida Marco Rubio, il segretario di Stato Mike Pompeo si è persuaso che si poteva puntare sul leader dell’assemblea legislativa Juan Guaidó. Il vice presidente Mike Pence ha telefonato a Guaidó martedì 22 gennaio, assicurando l’appoggio Usa. Il giorno dopo il giovane politico si è auto proclamato «presidente a interim» del Venezuela.
Pompeo e Bolton, però, si aspettavano un sostegno corale al nuovo corso venezuelano, dal Sudamerica all’europa. Non è stato così. Anche per questo Pompeo ha appena designato «inviato per il Venezuela» Elliot Abrams, 71 anni appena compiuti, roccioso conservatore, consigliere e diplomatico di lunga, quanto controversa esperienza. Abrams ha lavorato al dipartimento di Stato all’epoca di Ronald Reagan e fu coinvolto nello scandalo Iran-contras. Nel 1981 il Congresso vietò il finanziamento dei Contras, i ribelli anti-sandinisti del Nicaragua. Reagan decise di aggirare il blocco con questo piano: vendere armi all’iran e usare il ricavato per sostenere i Contras. Nel 1992 Abrams venne condannato a due anni di libertà vigilata per aver mentito al Congresso. Fu poi graziato dal presidente George Bush senior.
Adesso Pompeo lo rimette in pista con un compito difficile: compattare innanzitutto il blocco sudamericano contro Maduro, superando, per esempio, le perplessità del Messico.