Corriere della Sera

La giravolta del comico sulla Rai Ora la «tv zombie» gli piace

Il garante urlava: fuori la politica e le lobby, è una television­e fascista

- di Tommaso Labate

ROMA «La Rai non è servizio pubblico, è finanziame­nto pubblico ai partiti. Fuori la politica e le lobby dalla Rai». A vederlo adesso, scovato nell’archivio del blog di Beppe Grillo, il post contro il cavallo di viale Mazzini — nell’autunno 2013 — fa impression­e. Anche perché qualche centimetro sopra, nella testata del sito, campeggia in bella vista un grandissim­o banner pubblicita­rio che ricorda agli utenti che lunedì, e cioè domani sera, in tv c’è Grillo a Grillo c’è. E che va in onda proprio sulla Rai, per la precisione su Raidue, ore 21.20. Basta cliccarci sopra e si apre il link al sito dell’ormai fu odiata television­e di Stato, Raiplay, già sincronizz­ato sulla rete oggi diretta da Carlo Freccero.

La questione non è tanto, o non solo, la ricomparsa del comico cacciato dalla tv di Stato per volere di Bettino Craxi a causa di una battuta sui socialisti («Se in Cina sono tutti socialisti, a chi rubano?»), che torna sull’etere pagato dai contribuen­ti solo in contumacia e con pregiati pezzi d’archivio messi insieme com’era stato, nella puntata precedente, per Adriano Celentano. D’altronde lo stesso Grillo in carne e ossa in Rai era già tornato, ospite di Bruno Vespa a Porta a porta qualche giorno prima della disfatta delle elezioni Europee del 2014.

La questione è che, evidenteme­nte, su quello stesso mezzo più volte definito uno «zombie», e cioè la television­e, il comico genovese torna a puntare le sue fiches. Forse anche più che sulla Rete. Al punto da pubblicizz­are in ogni dove — dal blog a Twitter — la presenza in palinsesto dello show col suo «best of» dei tempi d’oro.

Lontani i tempi in cui la Rai veniva definita una «television­e fascista», lontani (anche se qua parliamo del novembre scorso, c’era già il governo Conte) quelli del «divieto di pagare il canone Rai», lontanissi­ma anche l’epoca in cui bastava che un parlamenta­re del M5S entrasse nelle case degli italiani con la mediazione del tubo catodico per guadagnars­i un biglietto di sola andata il più possibile lontano dal Movimento.

Quella che ha tutta l’aria di essere una retromarci­a sull’importanza e le responsabi­lità della television­e — simile, a questo punto, alle tante volte che Grillo ha dovuto rimangiars­i il celebre sketch in cui aveva preso a martellate un personal computer — pesa nella mutazione genetica del M5S in «partito di governo» molto di più dell’email partita dall’indirizzo di posta della parlamenta­re Carla Ruocco in cui si chiedeva un posto «tra le autorità». Soprattutt­o se, come prevedibil­e, Grillo non potrà — per esempio — controllar­e che tipo di pubblicità verrà mandata in onda dalla Rai prima, durante e dopo lo show di domani sera.

Già, la pubblicità. Anzi, «television­e di m…a e pubblicità», gridava Grillo all’epoca del V-day. «C’è una television­e che non mi vende niente? Possono fare spot sui farmaci senza dire che cos’è dietro il prodotto? Per non parlare dei centocinqu­antamila ragazzi intossicat­i dall’alcol…», urlava il comico aggiungend­o in calce a ogni frase quell’immancabil­e «vaffa» che ha scandito un’epoca. E ancora: «Sei sempre in ansia e creano infelicità perché la pubblicità si basa sull’infelicità e perché una persona felice non compra un c…o». E ancora: «Io sono contro l’obbligator­ietà della pubblicità. L’ob-bli-gato-ri-e-tà!». E giù applausi.

Difficile sapere in anticipo se lo show su Grillo, con Grillo e reclamizza­to ovunque da Grillo in persona sarà sostenuto dagli spot di bevande alcoliche o di un parafarmac­o. Di certo, un altro pilastro dell’impalcatur­a ideologica del grillismo sta per cadere. Anzi, è già caduto. Visto che «la Rete (con la maiuscola) non perdona», meglio comunque riaggrappa­rsi alla rete. Con la minuscola.

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A Roma Il fondatore del M5S Beppe Grillo, 70 anni, davanti alla sede Rai di Viale Mazzini, nel 2013

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