Corriere della Sera

Il frettoloso realismo di Londra che spinge a un addio senza accordo

- Di Sergio Romano

Secondo Pankaj Mishra, scrittore indiano e autore di un libro che ha avuto molto successo (The Age of Anger, l’epoca della rabbia), Brexit confermere­bbe l’incompeten­za della classe dirigente britannica, un ceto sociale presuntuos­o e arrogante in cui l’appartenen­za al clan conta più di altre qualità. In un articolo del New York Times del 19-20 gennaio, Mishra descrive la frettolosa leggerezza con cui nel 1947 il conte Mountbatte­n, zio di Filippo di Edimburgo, cugino della regina e viceré delle Indie, creò due Stati, India e Pakistan, senza tenere alcun conto della disomogene­ità religiosa dei rispettivi territori. Il risultato fu una sanguinosa guerra civile con una lunga sequenza di stragi, stupri e catastrofi­ci esodi di popolazion­i.

Vi era una scusante: il governo laburista dell’ epoca voleva mantenere le promesse fatte durante la guerra. Ma l’argomento decisivo, probabilme­nte, fu il pragmatico calcolo di un Paese a cui non piace prolungare gli addii. Se bisogna andarsene, meglio farlo il più rapidament­e possibile. Accadde anche, nello stesso periodo, in Palestina, che la Gran Bretagna aveva lungamente governato grazie a un mandato conferitol­e nell’aprile 1920. Dopo avere fatto alcune proposte per la divisione del territorio fra gli arabi e un nuovo Stato sionista, gli inglesi approfitta­rono della scadenza del mandato, il 18 maggio 1948, per mettere la questione nelle mani dell’onu. Il primo conflitto arabo-israeliano scoppiò nelle ore successive.

La pagina più drammatica nella storia del declino dell’impero britannico fu quella dell’egitto, protettora­to inglese dal 1914. Il

Dall’egitto all’india

In passato il desiderio di voltare le spalle al problema ha prevalso su qualsiasi altra consideraz­ione

Paese riacquistò la sua indipenden­za nel 1922, ma Londra continuò a presidiarl­o sino al secondo dopoguerra. Negli anni Cinquanta del secolo scorso dovette rinunciare alla sua presenza militare nel Paese e, in particolar­e, nella zona di Suez. Ma quando il presidente egiziano Nasser nazionaliz­zò il Canale, la Gran Bretagna, con la Francia e Israele, tentò di riprenderl­o. E vi sarebbe riuscita se il presidente degli Stati Uniti Eisenhower non avesse minacciato di affossare la sterlina a Wall Street. Anche in questo caso la classe dirigente britannica dette una prova del suo sbrigativo realismo. Il primo ministro (Anthony Eden) si dimise e il successore (Harold Macmillan) smantellò a passo di carica l’impero britannico in Africa. In ciascuno di questi casi il desiderio di voltare le spalle al problema ha prevalso su qualsiasi altra consideraz­ione. Ma uscire dall’unione europea è molto più difficile. Quando David Cameron constatò l’esistenza nel suo partito di una fazione ostile all’ue, credette che un referendum avrebbe risolto rapidament­e il problema. Nessuno sembra avere previsto quali e quanti fossero i rapporti che ormai legavano la Gran Bretagna all’unione. In queste circostanz­e non è escluso che l’impazienza prevalga ancora una volta sulla saggezza e che la Gran Bretagna se ne vada senza avere concluso alcun accordo.

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