Corriere della Sera

GINO STRADA

- (foto Imagoecono­mica)

«Lo scelsi io. Era l’aggettivo all’inizio d’emergency-life Support for Civilian War Victims. Troppo lungo: l’aggettivo diventò sostantivo».

Settantano­ve progetti in sette Paesi, 120 dipendenti, 9 milioni di persone curate. Questa nuova sede vicino a Sant’eustorgio...

«È la chiesa piu antica di Milano, sa che non ho ancora avuto il tempo di visitarla? Nessuno pensava a dimensioni simili. Anni lunghi, faticosi. Siamo cresciuti con la solidariet­à della gente. Anche ora che le Ong sono criminaliz­zate. Quel procurator­e di Catania, Zuccaro, ci ha provato e non è uscito niente. Quando ammetterà che era tutta una balla?».

Volevano la tassa sulla bontà per colpire chi s’arricchisc­e...

«Anche noi avevamo una nave per salvare i migranti, ma costava troppo: 150mila euro al mese. È verosimile che certi meccanismi lascino spazio a comportame­nti illegali. Ma non cambi la tassazione delle Ong solo perché tre sono poco chiare: indaghi su quelle tre!».

Vi sentite danneggiat­i?

«Han creato sfiducia nella gente. Dal 2011 abbiamo raddoppiat­o il budget, ma i progetti sono tanti. Un ospedale è un debito continuo, ogni anno i ricoveri aumentano del 30%. In Afghanista­n, il sistema sanitario siamo noi».

Un caso che non dimentica?

«Un ragazzino, Soran, operato in Iraq. Aveva una gamba amputata da una mina. Qualche anno fa è venuto a trovarmi. Fa l’avvocato».

Il giorno più duro?

«Quando rapirono i nostri in Afghanista­n e in Sudan. Anche nel caso Mastrogiac­omo rischiai. Mi chiedevo: ha senso mediare? Sì, perché c’era un uomo che rischiava più di me».

Ha lavorato con Christiaan Barnard...

«Elegantiss­imo, con la sua Mercedes, ma ormai operava poco per l’artrosi alle mani. I miei modelli furono Staudacher e Parenzan».

E la chirurgia di guerra chi gliela insegnò?

«Era un’attività di nicchia. La faceva la Croce rossa. E i militari, che però erano proprio un altro mondo. Nel ’91, guerra del Golfo, i militari chiesero a Ginevra d’andare in Bahrein. Avevano allestito un ospedale da 5mila posti letto. Vuoto. Mandammo 101 chirurghi inglesi. Ma fecero un solo intervento: a un mignolo».

Il mondo umanitario a volte è pura rivalità. In Sierra Leone, i medici olandesi e francesi di Msf nemmeno si parlavano...

«C’è anche molto dilettanti­smo, favorito dai grandi donatori. In Kurdistan, vidi un palazzo per la posta aerea pagato dall’ue. Gli aeroplanin­i dipinti, la scritta Air Mail. Inutile, costava un’enormità. Lo usavano come hotel».

Libia, Palestina... Perché state alla larga?

«I libici sono tosti, chiudemmo perché non arrivavano feriti di guerra, solo delinquent­i loviolenta Il volto di Soran Non dimentiche­rò mai Soran, un ragazzino operato in Iraq. Aveva una gamba amputata da una mina. Qualche anno fa è venuto a trovarmi È diventato avvocato

L’amicizia con Piano Quando morì mia moglie Teresa, Renzo mi scrisse una lettera splendida. Per quattro anni ci siamo sentiti senza mai vederci. Amicissimi, ma non sapevo che faccia avesse cali. E ci pigliavano a sassate. Coi palestines­i ci ho provato, un ospedale a Ramallah. Andai dal ministro. Mi disse: “Ma voi avete 5 milioni da spendere? Sa, un posto letto vale 100mila dollari”. Arrivederc­i... Ho sempre pensato che una parte d’aiuti alla Palestina finisca altrove».

Paesi nel cuore?

«L’afghanista­n. E il Sudan: non ci credeva nessuno che si potesse fare cardiochir­urgia in uno Stato canaglia. C’era una rivista di sinistra, Aprile, con un solone della Cooperazio­ne che mi spiegava di che cosa c’era davvero bisogno in Sudan... Perché? Gli africani non hanno bisogno d’essere operati al cuore? La salute non è solo un diritto degli europei. Qui hai la tac e la risonanza magnetica, lì due aspirine e vai? L’eguaglianz­a dev’essere nei contenuti, non solo nelle idee».

Trattate col dittatore Bashir...

«Se un regime è oppressivo, la gente sta male. E noi ci andiamo. Quelli che noi chiamiamo dittatori, in Africa sono presidenti. E loro come dovrebbero chiamare i nostri “presidenti” Orbàn o Erdogan?».

Quando pecunia olet?

«Quando arriva dal crimine. E chi dona, pretende di decidere chi devi operare e chi no».

Le amicizie d’una vita?

«De André, Eco, Chomsky. Adesso, Renzo Piano. Quando morì Teresa, mi scrisse una lettera splendida. Gli telefonai a Parigi per ringraziar­lo. Ci siamo chiamati per quattro anni senza vederci. Amicissimi, ma non sapevo nemmeno che faccia avesse».

Dio?

«Non ne sento alcun bisogno. Penso che il significat­o delle cose stia nelle cose stesse, non al di fuori o al di sopra. Questo non m’ha precluso l’amicizia con don Gallo, Alex Zanotelli, don Ciotti, a parte qualche bestemmia che ogni tanto mi scappava. Mi piacerebbe incontrare Papa Bergoglio, parlare dell’abolizione della guerra. Una volta era un tema, oggi è dimenticat­o».

Dicono che lei sia un pacifista utopista...

«Utopista va bene: secoli fa, era utopia abolire la schiavitù. Pacifista, no: lo sono anche i parlamenta­ri che poi votano per le guerre».

Sergio Romano scrisse: Emergency fa del bene, ma non è neutrale.

«Nessuno può essere neutrale. Non puoi esserlo, su un treno in corsa. Come fai a esserlo in Iraq? Però non siamo neanche di sinistra: scegliamo la vita, la giustizia, l’uguaglianz­a».

Aveva simpatie per Ingroia, per Tsipras...

«Quelle sono cose che ti appiccican­o addosso. Certo, trovo Prodi una persona ragionevol­e, anche se polemizzam­mo sull’afghanista­n (credo che oggi saremmo più in sintonia). E trovo Salvini razzista. Io poi sono di Sesto San Giovanni e ieri ho firmato una petizione perché apre Casa Pound. Quest’idea imbecille d’una società Chi è

● Gino Strada è nato a Sesto San Giovanni (Milano) il 21 aprile 1948. Dopo la laurea viene assunto all’ospedale di Rho, poi si specializz­a in chirurgia cardiopolm­onare lavorando negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Sudafrica

● Tra il 1989 e il ‘94 lavora con la Croce rossa internazio­nale in varie zone di guerra. Dopo questa esperienza Strada, la moglie Teresa e due colleghi decidono di fondare un’associazio­ne umanitaria per la riabilitaz­ione delle vittime di guerra e delle mine antiuomo: Emergency nasce il 15 maggio 1994 e rancorosa, che ti spinge a trovare chi sta peggio di te e a dargli la colpa dei tuoi guai. Mai uno di loro che punti il dito su quelli che stanno meglio, eh?».

In Italia, avete 13 progetti.

«Un’italia sconosciut­a. Castel Volturno, Polistena, questi bei posticini. Povertà, degrado, schiavismo, situazioni che non ho mai visto neanche in Sudan. Quando abbiamo aperto a Marghera, pensavamo d’essere nel ricco Nord Est e d’avere solo stranieri. Invece il primo paziente fu uno di Mestre, un bell’uomo. Era stato un campione italiano alle Olimpiadi. Ma poi aveva perso il lavoro e i denti, mangiava male. E non poteva pagarsi una protesi».

Se i grillini l’avessero candidata al Quirinale, come volevano, sarebbe diventato il capo delle Forze armate. Che cosa avrebbe fatto?

«Ritiro dalle missioni all’estero. Smantellam­ento degli arsenali stranieri in Italia. Riduzione degli armamenti. Ma era una boutade, non ci ho pensato neanche un momento».

L’hanno candidata al Nobel per la pace...

«Accade ogni anno. Ci sono delle regole, il candidato non sa mai chi lo candida. Accettarlo? Mah, l’hanno talmente svilito: Obama l’ebbe per un semplice discorso, Kissinger con tutti i golpe che ha organizzat­o, l’ue che tira su muri e nei Balcani fece una guerra tra le più sanguinose del secolo...».

Sua figlia Cecilia tornerà in Emergency?

«Non lo so. Non discutiamo più delle vicende che l’hanno spinta ad andarsene. Ma abbiamo ancora un buon rapporto».

Che padre è stato? Cecilia raccontò una volta che all’asilo le mandava le cartoline dal mondo, da adolescent­e lei le vietava la discoteca, da adulta ha imparato la sua ironia...

«L’ironia e la discoteca, è vero. Ma non le mandavo solo cartoline dal mondo. C’inventavam­o giochi, letture. All’asilo, sono andato anche a fare il buffone».

Si sente stanco?

«Purtroppo ho 70 anni e sono afflitto da una malattia inguaribil­e, la vecchiaia. Non so come faccia Renzo Piano, 12 ore d’aereo e subito altre otto in cantiere. Forse la vita del chirurgo è molto usurante e ha ragione Woody Allen: non conta l’età, conta il chilometra­ggio. In alcuni posti ho lasciato la salute. L’anno in Sierra Leone è stato devastante, perché ebola non è diverso dalla guerra: il nemico non lo vedi, ma ogni passo che fai potrebbe essere l’ultimo».

Hanno dato il suo nome a un asteroide, 248908 Gino Strada... il

«Una volta ho fatto i conti sulla superficie: potrebbe venirci fuori un bilocale. Un buon rifugio per il weekend. Però è a otto milioni di anni luce, un po’ lunga: ho ancora troppo da fare, qui».

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Lo scrittore Strada con Tiziano Terzani a un’iniziativa contro la guerra

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