Osaka donna dei due mondi Il futuro è ai suoi piedi (ma il Giappone non la ama)
Naomi batte la Kvitova e si conferma campionessa trasversale
Il titolone d’apertura del settimanale Time, a gennaio, valeva il prezzo del servizio di copertina: «A Naomi Osaka non piace essere al centro dell’attenzione: ma sta per riceverne tonnellate». Ed eccola, la campionessa trasversale gradita al Giappone non purista (è nata a Osaka), agli Usa (vive in Florida da quando aveva 3 anni) e ai melting pot di tutto il mondo (mamma Tamaki è giapponese, papà Leonard haitiano: si sono conosciuti al college a Sapporo e la relazione è stata molto avversata dai nonni materni), eccola illuminata dall’occhio di bue dell’australian Open con la coppa in mano: «Scusate, a parlare in pubblico sono una frana».
A 21 anni, Naomi Osaka si prende Melbourne, un presente da numero uno del ranking (da oggi) e una buona fetta di futuro frustrando il tennis mancino della ceca Petra Kvitova, 28 anni, l’avversaria rediviva tornata dopo la coltellata alla mano sinistra da parte di un ladro, entrato nel suo appartamento di Praga nel dicembre 2016 (episodio mai del tutto chiarito). Finale intensa, a tratti drammatica, il meglio che il tennis femminile odierno possa offrire: la tecnica di Petra contro la modernità del gioco di Naomi, equilibrio totale fino al tie break del primo set, quando Kvitova abbassa la velocità della palla e Osaka le zompa addosso vorace (7-2). La ceca spreca tre palle del 3-0 nel secondo, la giapponese le rende il favore sul 5-3, quando butta al vento tre match point, si fa agganciare sul 5-5 e poi superare 7-5. In pieno tilt emotivo, persi per strada cinque game e tutte le certezze, Naomi sembra sull’orlo della resa però con un guizzo da vera leonessa si riprende l’inerzia del match. Break sull’1-1 con rovescio incrociato magistrale, 4-2 con tre vincenti, 6-4 sotto le prime gocce di pioggia, perfette per mascherare le lacrime.
Vincere due Slam consecutivi non è mai impresa banale. E questa volta, a differenza dell’open Usa dell’anno scorso, non ci sono musi lunghi né strascichi di polemiche come a New York, quando Serena Williams rovinò la festa alla Osaka con una crisi isterica entrata nella storia tanto quanto ciascuno dei suoi 23 Slam. «Ho sentito l’affetto del pubblico e mi è servito».
Giovane, in pieno progresso (vincerà molto, in carriera, Naomi) e divisiva. In Giappone i mix di culture sono poco tollerati da un Paese severo: ecco perché i genitori decisero di dare a Naomi il cognome della madre, Osaka, ed ecco spiegata la gaffe dello sponsor Nissin, marca leader di noodles in Asia, che l’ha sbiancata e le ha addolcito i lineamenti nello spot a cartoni animati disegnato da Takeshi Konomi, maestro dei manga. Determinante per la sua carriera papà Leonard, che le mise in mano la racchetta nel 2002, dopo aver visto Venus e Serena affrontarsi nella finale di Parigi: «Se ce l’aveva fatta il padre delle Williams, perché non io?». Naomi e la sorella Mari hanno mantenuto tradizioni giapponesi (festeggiano l’hinamatsuri il 3 marzo, la festa delle bambole) ma hanno avuto un’educazione americana, non si perdono un concerto del rapper Drake a Miami e stravedono per Lebron James. «Non so cosa significhi sentirsi giapponese, americana o haitiana: mi sento semplicemente me stessa» ha tagliato corto la Osaka ieri a Melbourne, travolta dalle celebrazioni.
Nessuno sa se l’era di Serena è al tramonto, ma di certo quella di Naomi è cominciata.