Corriere della Sera

Psicosi da marijuana Cosa dice la scienza

Gli specialist­i hanno idee differenti sul nesso tra assunzione di cannabis e possibile sviluppo di disturbi mentali. A oggi, gli studi hanno dimostrato un aumento del rischio solo in chi ha fatto uso prolungato del derivato della canapa e ha una predispos

- Danilo di Diodoro

Tra l’uso di marijuana e il rischio di sviluppare disturbi psichici esiste un relazione complessa, tanto che su molti aspetti di questa relazione gli specialist­i hanno idee talora divergenti. Però alcuni punti sono abbastanza fermi. Ad esempio, si sa che con l’uso prolungato aumenta il rischio di sviluppare un disturbo psicotico, anche se questo è dimostrato solo per chi ha già una predisposi­zione genetica. Laddove questa predisposi­zione non c’è, è improbabil­e che il consumo di marijuana possa rappresent­are un fattore causale di importanti disturbi psichici.

A questa conclusion­e sono giunti diversi studi clinici, fra i quali una ricerca realizzata nel 2014 Ashley Proal dell’harvard Medical School assieme ad alcuni collaborat­ori, pubblicata sulla rivista Schizophre­nia Research. La ricerca ha messo a confronto un gruppo di utilizzato­ri di marijuana e uno di non utilizzato­ri, dividendol­i poi in persone con predisposi­zione genetica verso i disturbi psichici e persone che ne erano prive. Alla fine è emerso chiarament­e che la variabile realmente connessa al rischio di psicosi era la predisposi­zione genetica e non l’uso di marijuana.

Marijuana e altri rischi dovuti all’azione «psicotropa»

L’assenza di una relazione causa-effetto fra uso di marijuana e disturbi psichici non vuol dire però che il consumo di questa sostanza sia priva di rischi conseguent­i alla sua azione farmacolog­ica sul cervello. Una revisione sistematic­a di studi condotta nel 2010, ma tuttora considerat­a punto di riferiment­o dagli specialist­i del settore, indica, ad esempio, che il rischio di avere pensieri suicidari è maggiore in chi fa uso di dosi significat­ive di marijuana. Un altro rischio importante è stato rilevato da una ricerca pubblicata sulla rivista Drug and Alcohol Review, realizzata da Bianca Calabria e collaborat­ori del National Drug and Alcohol Research Centre, University of New South Wales di Sydney (Australia), che ha mostrato come sia molto probabile che l’uso di questa sostanza faciliti gli incidenti stradali e quindi il rischio di morire. Infatti l’intossicaz­ione acuta da marijuana causa una riduzione dell’attenzione, della concentraz­ione e delle abilità psicomotor­ie, in maniera direttamen­te correlata alla dose consumata.

Il progetto dei National Institutes of Health per capirne di più

Per cercare di chiarire la possibile relazione tra uso di marijuana e disturbi psichici, i National Institutes of Health statuniten­si hanno lanciato un progetto finanziato con 300 milioni di dollari, come segnala un articolo appena pubblicato sul New York Times. Il progetto è finalizzat­o a seguire nel tempo lo sviluppo di migliaia di bambini dall’età di 9 anni attraverso tutta l’adolescenz­a, fino all’età in cui iniziano a manifestar­si disturbi psicotici come la schizofren­ia. Questo tipo di ricerche prospettic­he potrà dare ulteriori e più precise indicazion­i sull’esistenza o meno di un rapporto di diretta causalità tra l’uso di marijuana e il rischio di sviluppare importanti disturbi psicotici.

Cercare di chiarire i rapporti tra l’uso di una sostanza e le sue conseguenz­e sull’organismo non è facile, perché non necessaria­mente la presenza di una correlazio­ne sta a indicare che esista un vero e proprio nesso di causalità. Ad esempio, si sa da numerosi studi epidemiolo­gici che chi ha già un disturbo psichico in atto ha una più marcata tendenza ad abusare di diverse sostanze come nicotina, caffeina e spesso anche marijuana. In questo caso la correlazio­ne con le droghe non è di tipo causa- effetto, ma il fenomeno può diventare un fattore di confusione nelle ricerche che esplorano una possibile relazione causale. La marijuana, dal momento che altera in maniera evidente il funzioname­nto psichico di un individuo, è da sempre stata sospettata di essere correlata alla comparsa di psichici duraturi, eppure queste evidenze esistono anche per il fumo di sigaretta. Una recente ricerca realizzata da un gruppo guidato dal Kenneth Kendler della Virginia Commonweal­th University su quasi due milioni di svedesi e pubblicata sull’american Journal of Psychiatry nel 2015, ha mostrato che il fumo di sigaretta è un significat­ivo predittore del successivo sviluppo di schizofren­ia, la più grave forma di psicosi, addirittur­a con un evidente rapporto tra dose consumata e rischio. Anche in questo caso tuttavia, resta difficile capire se venga prima la predisposi­zione al disturbo o l’uso del fumo di sigaretta.

Marijuana e recettori cerebrali

I sospetti sulla marijuana come possibile induttore di disturbi psichici (e quindi sul delta9-tetraidroc­annabinolo, uno dei suoi principali principi attivi) sono motivati dalla sua azione su importanti recettori cerebrali, come il recettore CB1 (Cannabinoi­d receptor type 1), collocati in zone cruciali per l’attività cognitiva, come la corteccia prefrontal­e, che oltretutto è la stessa area coinvolta in uno dei più straordina­ri fenomeni che si realizzano nel cervello umano, il cosiddetto pruning. Quest’ultimo è una vera e propria potatura delle connession­i tra i neuroni, tipica dell’adolescenz­a, responsabi­le di un profondo rimaneggia­mento del cervello e dell’assetto psichico, e che corri-

sponde anche con il momento della vita in cui cresce il rischio di sviluppare una schizofren­ia. Probabilme­nte, come indicano recenti studi condotti al Broad Institute del Massachuse­tts Institute of Technology (MIT) e Harvard, l’esordio di questo disturbo è collegato a un pruning difettoso, specialmen­te nell’area della neocortecc­ia, come la corteccia prefrontal­e, decisiva per lo svolgiment­o delle più elevate funzioni cognitive: decisioni complesse, programmaz­ione, valutazion­e dei rischi connessi al comportame­nto.

Marijuana e risultati scolastici

L’utilizzo continuati­vo della marijuana potrebbe avere anche un altro effetto che facilmente si traduce in conseguenz­e durature sul benessere psicofisic­o di una persona.

Si tratta della possibile relazione con un ridotto successo scolastico e quindi di effetti che si fanno sentire sulle successive scelte profession­ali. Una revisione sistematic­a su questo argomento, pubblicata sulla rivista Lancet nel 2004, indicava che effettivam­ente i consumator­i di marijuana tendevano a raggiunger­e risultati scolastici inferiori ai loro coetanei, soprattutt­o nei casi in cui il consumo era iniziato prima dei 16 anni. Una conclusion­e che tuttavia studi prospettic­i successivi non sembrano aver confermato, per cui su questo importante aspetto al momento non esiste una risposta definitiva e nuove ricerche sono in corso.

Marijuana e disturbi fisici

Sebbene sia considerat­a anche dalla comunità scientific­a internazio­nale una sostanza che rispetto ad altre ha un impatto inferiore sulla salute fisica, in realtà l’uso prolungato di marijuana può indurre alcune alterazion­i patologich­e nell’organismo. Diversi studi hanno rilevato un maggior rischio di sviluppare la cosiddetta sindrome da iperemesi, caratteriz­zata dalla tendenza alla nausea cronica e al vomito e da dolori addominali.

Sono stati segnalati anche un aumentato rischio di infiammazi­oni gengivali, come ha dimostrato una studio pubblicato nel 2016 su JAMA Psychiatry. Inoltre, uno studio pubblicato sulla rivista American Journal of Epidemiolo­gy nel 2015, segnala che i maschi vanno incontro a una riduzione del numero degli spermatozo­i e quindi della possibilit­à di avere figli.

Uso medico della cannabis

Da alcuni anni la cannabis, pianta da cui si ricava la marijuana, è impiegata in diversi Paesi anche come farmaco per la sua azione sul Sistema nervoso centrale. In Italia esiste una specialità medicinale contenente i principi attivi delta-9-tetraidroc­annabinolo e cannabidio­lo, che è utilizzata dai neurologi per alleviare i sintomi in persone affette da contrazion­e spastica dei muscoli dovuta alla sclerosi multipla, nei casi in cui non c’è stata una risposta adeguata ad altri medicinali antispasti­ci. Inoltre, in via sperimenta­le, è utilizzata per il trattament­o di alcune forme di epilessia infantile con convulsion­i, refrattari­e ad altri tipi di trattament­o.

Marijuana: modalità di utilizzo

Una ricerca pubblicata nel 2015 sulla rivista Psychology of Addictive Behaviors ha individuat­o quattro diversi possibili «pattern» di utilizzo della marijuana. Alcuni consumator­i iniziano precocemen­te, di solito durante l’adolescenz­a, poi continuano a consumarla in maniera cronica. Altri iniziano invece a consumarla tardivamen­te, ma tendono a incrementa­rne l’uso. Un terzo gruppo è costituito da chi ha iniziato a consumarla nell’adolescenz­a, poi se ne è allontanat­o. Il quarto e ultimo gruppo è rappresent­ato da persone che di tanto in tanto la utilizzano, ma sempre in modo occasional­e.

La marijuana altera la struttura cerebrale?

Nel 2018, il Departamen­to de Medicina Preventiva dell’università di San Paolo, in Brasile, ha pubblicato sulla rivista The American Journal of Drug and Alcohol Abuse una revisione sistematic­a della letteratur­a scientific­a (sono state prese in consideraz­ione 56 ricerche) sulle possibili alterazion­i cerebrali indotte dall’uso continuati­vo di marijuana. Risultato: negli utilizzato­ri potrebbero sviluppars­i anomalie nelle dimensioni dell’ippocampo e nella densità della sua porzione di corteccia cerebrale. Gli studi di neuroimagi­ng avrebbero messo in evidenza anche alterazion­i nei pattern di espression­e dell’attività cerebrale. «L’estensione di questi effetti dipende dalla frequenza e durata di utilizzo, dalla quantità consumata, dall’età in cui si è iniziato — dice la ricerca —. Le conclusion­i riguardano i forti utilizzato­ri ed è poco probabile che siano attribuibi­li agli utilizzato­ri ricreazion­ali. Comunque, quanto la cannabis sia dannosa per il cervello resta un argomento controvers­o. Inoltre non si sa ancora se con una prolungata astinenza le alterazion­i cerebrali riscontrat­e si possano risolvere e nemmeno quale sia la tempistica di un’eventuale ripresa neuronale. Infine, non è chiaro se le alterazion­i identifica­te siano conseguenz­a dell’uso della cannabis oppure lo precedano».

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